Affinità e divergenze…

…FRA IL COMPAGNO TOGLIATTI E NAPOLITANO

Una volta al mercatino del libro di Porta Galliera ci trovavi di tutto. Per esempio ci trovavi gli Oscar Mondadori, tascabili, ad un euro. Non si trattava di edizioni rare ed introvabili ma il fatto che fossero lì al prezzo di un euro conferiva al mercatino una funzione simbolica di divulgazione popolare della cultura, una funzione di cui oggi si sono appropriate le edicole. Sicché era facile venir via dal mercatino con una busta piena di libri pur avendo speso, in totale, dieci o quindici euro. Ma l’ultima volta che ci son stato, al mercatino, i banchi eran pieni di spazzatura. E’ stato un miracolo che sia riuscito a scovare un libro che valesse la pena, a due euro: “Il partito comunista italiano” di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti 1971. La prefazione del celebre libretto – ed è questo, in verità, che mi ha convinto all’acquisto – è di Giorgio Napolitano.
Trentacinque anni fa Napolitano prendeva anche lui posizione, attraverso l’analisi del testo di Togliatti, sulla presunta degenerazione del sistema dei partiti. Trentacinque anni fa Napolitano dava ragione a Palmiro quando, a proposito della Democrazia Cristiana, parlava di “ininterrotto e spregiudicato esercizio del potere (…), uso arbitrario delle leve dello stato per scopi di partito, aperto intervento (…) delle supreme autorità e dell’organizzazione della Chiesa nella lotta politica”. Trentacinque anni fa definiva il rapporto fra Democrazia Cristiana e corpo elettorale come un rapporto “in larga misura non democratico, fondato non su una libera scelta e su una reale partecipazione politica ma su molteplici elementi di pressione e corruzione”.
Ma già allora bisognava evitare che gli errori di una certa classe politica legittimassero un’accusa generalizzata all’intero sistema dei partiti. Trentacinque anni fa Napolitano riteneva “doveroso e inevitabile tornare a Togliatti”.
Ben più di trentacinque anni fa, nel 1958, Fanfani e le alte sfere della DC avrebbero dato via il braccio sinistro pur di lasciarsi alle spalle la crisi della formula centrista e del modello politico degasperiano. Eppure la campagna anticomunista era quanto mai viva. Togliatti ne interpretava la ripresa come ulteriore prova della necessità storica del partito comunista. Quindi anch’io, avrà pensato Napolitano, sono storicamente necessario.

Forte di questo assioma politico, passava alla diagnosi dei mutamenti intervenuti nel paese nell’arco dei tredici anni trascorsi dalla pubblicazione del libro. Il quadro che descriveva era alquanto fosco. Parlava di un modello capitalistico incapace di risolvere i problemi del sud e del rinnovamento dell’agricoltura, di una abnorme congestione industriale capace di produrre soltanto nuove e acute contraddizioni, di un crescente sfruttamento della manodopera occupata, di una esasperata accentuazione delle sperequazioni sociali. Ecco da dove nasceva la radicalizzazione delle lotte sociali, una radicalizzazione cui aveva dato ulteriore spinta “Il fallimento dell’esperienza politica del centro-sinistra”. Ed è su queste considerazioni che, secondo Napolitano, doveva innestarsi la visione della prospettiva socialista di Togliatti.
E’ legittimo chiedersi, quindi, se l’attuale centro-sinistra rappresenti l’attualizzazione di una rinata via italiana al socialismo. Tornerò al mercatino di Porta Galliera per scovare una risposta soddisfacente che valga due euro di spesa.

Mauro Orletti

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