Favolosofando

Tra le favole inserite nella tradizione attribuita allo schiavo curvo e goffo di nome Esopo ve n’è una intitolata “L’aquila e lo scarabeo” che descrive una vendetta condotta da un insetto nei confronti di un agile volatile. Sono gli animali del titolo.
Si tratta di un’ottima simbolica della natura e del correlato problema hobbesiano del timore come fondamento dell’ordine civile. Il filosofo inglese Thomas Hobbes esprime una posizione schiettamente sprezzante nei confronti della classica definizione dell’uomo come animale sociale, spontaneamente spinto verso il suo simile da un sentimento di benevolenza, e mostra come il processo di socializzazione sia lucidamente diretto da una ragione calcolante, geometrica. L’intero itinerario della teoria politica di Hobbes è innescato da non più di un paio di princìpi, e percorre un tracciato di progressive deduzioni fino alla risolutiva istituzione statuale.
Ogni uomo nasce libero ed eguale. Nel senso che, trovandosi in una fase pre-giurisprudenziale, non ha prescrizioni o divieti, né obblighi di alcun genere. Il che, in effetti, coincide con un “diritto” a tutto dell’uno come degli altri individui. Una simile situazione non può essere altrimenti descritta che come uno stato di lotta permanente, utile a spiegare, dal punto di vista della teoria, l’idea secondo cui lo stato di natura non sarebbe quell’oggetto del melanconico rimembrare dell’uomo incivilito ma, contrariamente, l’inferno di ferro e fuoco da rifuggire per la salvaguardia della vita. La pace è rappresentata come conquista. La pace non è pace, ma pacificazione. Un derivato. La pace è mancanza, di più, fine della guerra. Riparo.
Il conatus, l’istinto di conservazione di ogni essere, sta alla base del pensiero politico di Hobbes e ne è il vero principio di derivazione.
Perché lo stato di natura è così terrificante per tutti? Si tratta di una realtà così drammaticamente ingovernabile dai singoli (o dai pochi) che sarebbe impensabile un’azione risolutiva che non corrispondesse ad una, per così dire, burocratizzazione? Come mai occorrono patti, contratti e via dicendo?
Una volta c’era chi diceva: Vi dico io cos’è la giustizia, è il diritto del più forte. Del resto, è ragionevole che qualcuno (purché dotato d’ottima complessione) si esprima in questi termini, giacché, come detto, siamo in uno stadio ante-morale e pre-giurisprudenziale, in cui la differenza la fanno i muscoli. In natura vi è un possesso di forze e strumenti di lotta non paritario; anzi, quanto a disparità create, è riscontrabile un’analogia con la (re)distribuzione delle ricchezza – e povertà – che si ha nella società organizzata sul modo capitalistico di produzione.
Ora (e in definitiva), com’è che questi individui baciati, com’è che costoro… forti, superiori, questi individui-capitalistico-borghesi-guerrieri-della-natura non esercitano se stessi per il dominio, invece di convenire con gli altri per la comune sottomissione ad un potere a loro esterno? Ecco la risposta: lo scarabeo non perdette più di vista i nidi dell’aquila: appena essa deponeva le uova, saliva su a volo, le faceva rotolare e le rompeva; fino al giorno in cui, l’aquila, che è l’uccello sacro a Zeus, si rifugiò presso di lui e lo scongiurò di trovarle un luogo sicuro per covare. Zeus le concedette di deporre le uova nel suo proprio grembo. Ma quando lo scarabeo se ne avvide, fece una pallottola di sterco, si levò a volo e, giunto sopra il grembo del dio, ve la lasciò cadere. Zeus, per scuotersi di dosso lo sterco, si alzò e, senz’avvedersene, gettò a terra le uova.
Lo scarabeo è debole ma anche scaltro; è dotato di quell’astuzia cui deve ricorrere colui o l’essere dotato di modestissimi strumenti naturali di attacco e difesa. Hobbes, nel primo capitolo del “De cive” scrive: La causa della paura reciproca consiste in parte nell’ uguaglianza naturale degli uomini, in parte nella volontà di nuocersi l’un l’altro. Da questo viene che non siamo in grado né di attendere da altri la sicurezza, né di garantircela noi stessi. In quanto, se consideriamo con quanta facilità un uomo debolissimo possa ucciderne uno più forte, non c’è motivo per cui qualcuno, fidando sulle sue forze, si creda superiore agli altri per natura.
La disparità nelle capacità rappresenta così una differenza quantitativa ma non qualitativa; sicché è una inessenzialità. Se la distinzione fosse qualitativa, allora vi sarebbero davvero, nell’ambito della lotta, dei tipi umani differenti. E invece ciascuno dispone del quantum necessario ad uccidere. Tale dotazione fondamentale ci eguaglia ed esprime il concetto di forza sufficiente. Pertanto, stando così le cose, siamo antropologicamente uguali e la guerra hobbesiana resta da qualsiasi prospettiva ingovernabile, in quanto la natura, senza potere civile, non è un territorio ben governato neanche dalla legge del più forte.
Tutto ciò ha ancora a che fare con la favola esopica?
Un insetto si è rivalso vittoriosamente nei confronti di un uccello molto più grosso e forte, ed è riuscito nel suo intento armandosi di sola astuzia. Questo è vero; però cos’è una qualità che non sia posta in essere da una forza? È – hegelianamente – un’astrazione indeterminata, niente: l’essere indeterminato coincide col nulla, perché lo si pensa senza attributi. Difatti ciò che immaginiamo come privo di attributi è propria il nulla. Quindi, intanto possiamo asserire che lo scarabeo è scaltro in quanto ha realizzato la sua qualità (prima soltanto interna), in quanto quest’ultima è resa – di nuovo con Hegel – effettuale.
Appurato che c’è un patrimonio di forze è altresì evidente che due elementi hanno operato nella rivalsa: la furbizia e la forza che l’ha resa fattiva; e qual è questa forza del nostro (quasi) trascurabile insetto? Be’, una forza minima, necessaria e sufficiente: precisamente ciò che in Hobbes abbiamo chiamato principio di forza sufficiente; principio che, mai assente in ciascuno di noi, è la ragione dell’eguaglianza di natura, per la quale non siamo mai abbastanza deboli da non potere, volendo, uccidere qualcuno… o anche – perché no? – non siamo mai sufficientemente fiacchi da non poter essere, volendo, sovversivi.

Questa favola insegna a non disprezzare nessuno, perché nessuno è tanto debole che, offeso, non sia in grado un giorno di vendicarsi.

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