Quando l’Islanda divenne cristiana un migliaio di anni fa, nell’anno 1000, i poeti islandesi ebbero qualche problemino. La popolazione credeva negli dei pagani fin da tempo immemore e all’epoca nel paese esisteva una fortissima tradizione poetica: i poeti navigavano verso la Norvegia e componevano poesie di elogio dei sovrani secondo il rigido metro nordico. Come ricompensa, ricevevano navi o anelli d’oro, e naturalmente grandi onori. Ma la lingua della poesia era diversa da quella quotidiana. Il linguaggio poetico si basava sulla mitologia nordica. In una poesia l’eroe non navigava l’oceano, ma “cavalcava il suo cavallo marino”. Non si diceva “terra” in una poesia, ma “sposa di odino”. E non si sarebbe mai detto “cielo”, ma “elmo dei nani”, in accordo con la visione politeistica del mondo. Come potrebbe un poeta cristiano scrivere su Dio – creatore del cielo e della terra – quando la tradizione poetica lo costringerebbe a chiamarlo dio creatore della sposa di Odino e dell’elmo dei nani?
[Andri Snær Magnason, in “Proteggere le mele”, The Passenger – Islanda, Iperborea 2018]