Con il termine ronin, che in giapponese vuol dire letteralmente «uomo alla deriva», ci si può riferire al samurai rimasto senza padrone o al guerriero che si addestra per diventare samurai.
Ronin diventano i 47 soldati di Asano Naganori, a cui lo Shogun comanda di uccidersi tramite seppuku. Ronin è Miyamoto Musashi, almeno fintanto che si addestra a diventare il più grande spadaccino nella storia del Giappone.
Ecco, dopo aver letto “La postura del guerriero. Addestramento etico e altre modeste proposte” posso dire che ronin è anche l’autore, Paolo Morelli, e in entrambe le accezioni.
Certo il titolo dell’opera sembra facilmente condurre in questa direzione. E non soltanto per il riferimento al guerriero e all’addestramento, ma anche per via dell’azzardo rappresentato dalle “modeste proposte”. Che riecheggiano il pamphlet di Jonathan Swift (“Modesta proposta per impedire che i bambini della povera gente siano di peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli utili alla comunità”) nonché il derivato libello di Prezzolini (“Modeste proposte scritte per svago di mente, sfogo di sentimenti e tentativo di istruzione pubblica degli italiani”). Prescindendo dal piano satirico, o forse proprio in virtù di quello, in entrambe è presente un audace tentativo d’addestramento. Swift propone, ad esempio, di risolvere con una singola mossa il problema della sovrappopolazione e quello della disoccupazione. Cucinati in umido, arrosto, bolliti, in fricassée o al ragout, i figli dei poveri potranno soddisfare pienamente il gusto raffinato dei ricchi. Prezzolini propone una legge in base alla quale siano proibiti i discorsi più lunghi di trenta minuti di presidenti, membri o direttori di uffici, accademie, tribunali, associazioni nazionali, regionali e comunali.
A me sembra che il coraggio con cui Swift e Prezzolini usano la saponetta sulla testa dei propri compatrioti non manchi a Paolo Morelli. Il quale usa la mano pesante, il suo bokken direi, per strapazzare l’élite che ha imposto la dittatura della ragione. Con tanto di rampogna all’illustre iniziatore, il Descartes del «cogito ergo sum» su cui – ahimé – s’è costruito un monumento alla presunzione, e di dubbio gusto! Perché sempre volgare è la pretesa di separare la mente dal corpo, come se questo, il corpo, nulla avesse a che vedere con la conoscenza.
E qui Morelli fa anzitutto notare come l’idea di una conoscenza «smaterializzata» sia intrinsecamente contraddittoria, nel senso che, invece di rafforzare il pensiero e il soggetto pensante – sia sul piano della conoscenza che su quello dell’etica – li debilita, per così dire.
E infatti, risvegliati di soprassalto nel postmoderno, i pronipoti di Descartes prendono atto che la razionalità centrale della storia non c’è più, s’è sgretolata in mille razionalità periferiche. E non ci sono più sistemi di valori stabili, ideologie, supremazie culturali. L’avvento della tecnologia ha fatto il resto, straccando il «pensiero debole» fino a renderlo «esausto», per usare la stessa espressione di Morelli.
Il quale, innegabilmente, diffida. Non tanto della tecnologia in sé, e in particolare di quella informatica, quanto della subalternità con cui la si è gestita, al punto da permetterle di modificare le nostre condizioni percettive e cognitive, alterare il precario equilibrio fra «tempo interiore della coscienza» e «tempo esteriore del mondo». E ora che il primo ha preso il sopravvento sul secondo, l’unica forma di conoscenza ammessa è quella smaterializzata della coscienza e non quella concreta dell’esperienza nel mondo. Pare una quisquilia ma ecco il contraccolpo: anziché gestire in modo sequenziale le informazioni alle quali abbiamo accesso, come accade quando facciamo esperienza delle cose attraverso il nostro corpo, le trattiamo in modo simultaneo (è questo il tempo interiore della coscienza!), senza ordine o gerarchia, convinti di poterle gestire. Una convinzione che è il monumento alla presunzione. Monumento costruito, appunto, sul basamento del «cogito ergo sum».
Dunque? Quale la “modesta proposta” evocata nel titolo? Ecco, dice Morelli, preso atto della china che ha portato il pensiero all’affievolimento delle sue condizioni vitali, dovremmo provare a gestire le cose, per esempio i fatti e le idee che ne scaturiscono, con meno sicumera e più baldanza, meno austerità e più evasione, fino a imparare la rinuncia. Rinuncia all’accumulo, all’abbuffata dell’ogni e del qualunque, allo sgraffigno alla rinfusa. Alla rinuncia poi si accompagna la cura, l’attenzione al meno, il riguardo per ciò che si è assimilato che, finalmente, sarà possibile rapportare all’ignoto secondo il procedimento dell’analogia. Che, vivaddio, è il mondo della fantasia, in cui prendono coraggio l’ignorante che si mostra tale, il principiante che si appresta al lavoro e, naturalmente, il ronin che si addestra con il bokken. «Perché c’è poco da dire e da concionare, i fascismi, prima che in politica nascono dalla sparizione della misura del coraggio, senza la fantasia del corpo il mondo diventa fascista da sé, e senza nemmeno accorgersene (se non molto dopo)».
E siamo arrivati al dunque: serve un gesto, un atto. E per agire serve un addestramento che però, il punto è cruciale, non mortifichi il gesto nel tentativo di renderlo corretto, efficace o semplicemente aggraziato. Tutt’altro. L’addestramento serve a liberare, a perdere il controllo, o meglio l’illusione del controllo, così che il gesto sia irruento e la parola accalorata. Si può dunque cercare una postura adatta, che stimoli la fantasia, che la lasci libera di vagare, di mettere in relazione il nostro corpo e questo mondo, questo mondo e qualunque altro mondo, di renderci flessibili e adattabili, a nostra volta vaganti e divaganti, ampi a sufficienza da includere contraddizioni ed errori, fino a cogliere – anche solo per un attimo – «il nesso cangiante di tutte le cose». Che Morelli propone di chiamare, a mio avviso giustamente, il Sacro. Punto d’arrivo inattingibile, rispetto al quale saremo sempre dei principianti, sempre dei (pre)destinati al fallimento. Arrivare fin qui, del resto, e poi tornarci incessantemente, fallendo ogni volta, non è sapienza, è arte.
[Paolo Morelli, La postura del guerriero. Addestramento etico e altre modeste proposte, Luca Sossella Editore 2020]