
Dacché, ripeto, nei luoghi riservati all’esercizio attivo e passivo dell’autorità, si registrano, e non ad opera di intrusi, scoppi di ilarità alti e frequenti: siano essi luoghi (al chiuso o allo scoperto) conformati al rigore e all’agiatezza di razionali ariosità e lucentezze policrome, superbi di facciata, o tengano invece del cunicolo, del capanno fatiscente, della cloaca o della casamatta. Ma proprio là dove da secoli si stipa la popolazione ministeriale più reietta, tra gli spazi più angusti, negli anfratti più neri che mai non bevvero luce alla sorgente, tra il salnitro, il muschio e la lebbra degli intonaci macerati e lenti, al lezzo dei fiati stagnanti di generazioni e generazioni di burocrati senza nome, proprio là si aprirebbero, ai sensi dell’osservatore avventurato, oasi o meglio focolai improvvisi di ilarità squillante, inquietante, impudica, prossima a volte alla virulenza scomposta e micidiale dell’allegrezza dionisiaca. Anzi, a voler dar credito senza riserve ai primi elaborati della nostra ricerca, l’attitudine al riso amministrativo risulterebbe di norma inversamente proporzionale ai privilegi del grado, cioè allo stato di avanzamento nella carriera, al decoro dell’ambiente e alle ragioni sociali di sicurezza del soggetto ridente. Ma le domande in queste materie sono infinite e quasi tutte ancora senza risposta.
[Augusto Frassineti, Misteri dei ministeri, Einaudi 1973]