Giacinto Perticone nel 1994 stava in villeggiatura quando ha cominciato a raffreddarsi. Per due settimane ha domandato a chiunque gli capitasse a tiro Ma tu, tu lo senti anche tu questo freddo? Era in giugno, i tigli fiorivano, si stava così bene, e allora nessuno gli ha dato una risposta sincera. La notte si svegliava in una morsa di brividi, restando tutto raggomitolato chiedeva alla moglie Carmela, con una vocina lontana, di chiudere la finestra, Almeno qualche ora, fino a quando non si sarebbe alzato il sole. Ma neppure lei stava troppo ad ascoltarlo. Cos’è questo freddo cane, pensava durante il giorno, e intanto faceva lunghe camminate attorno al paese sperando di scaldare un po’ il sangue e di tirar su la temperatura corporea che controllava con un termometro che gli ha dato decimi di grado in meno ogni volta che se la misurava. Un giorno è andato a trovare il fratello Michele per chiedergli se anche lui avesse freddo, Eh, mi capita di sentirlo, alla sera, ma lo reputo un sollievo, non so di che ti lamenti, gli ha detto quello dalla finestra. Giacinto non si è capacitato in nessun modo del freddo che gli era venuto, l’ha creduto un malocchio; non riusciva più a terminare le sue parole crociate senza scrivere freddo e incasinare perciò lo schema; c’erano i mondiali, oltretutto, l’Italia andava in finale, non si parlava d’altro, ma lui s’è andato via via distraendo, e non tifava più, anzi, tifava contro. Ho freddo, domani ce ne andiamo, ha detto una sera alla moglie Carmela, Oh, tu ti sei fissato col freddo, Io vorrei soltanto che mi cucinassi una minestrina di brodo per cena. Ma non era stagione e lei ha continuato a servirgli i pomodori, i cetrioli, le mozzarelle, qualche insaccato, e il cocomero. Nell’indifferenza, alla terza settimana di freddo, ormai quasi in equilibrio termico con l’ambiente, mentre se ne stava al sole come una lucertola, seduto a una panchina, che parlava del suo accidente con un cugino di II grado che sudava molto e l’ascoltava distratto, ad un certo punto il cielo s’è rannuvolato. E Giacinto Perticone da quel momento esatto non s’è mosso più. Il cugino di II grado non se n’è nemmeno accorto, Fa caldo, io me ne vado, e l’ha salutato con una pacca sulla spalla.
[Francesco Marsibilio]