Prefazione inedita a Memorie dal sottosuolo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij
Io gliel’ho anche detto, a chi si occupa di amministrare questo po-sto, gli ho detto: Così non va, non va proprio bene, così finisce male. Ma lui niente, dice che sì, passa lui e vede di sistemare, poi però si è fatto vedere?! Macché, niente, s’è fatto d’aria.
L’ho detto allora anche all’avvocato: Avvocato, qui non c’è il ri-spetto per le regole, e ci sto male; per dire, a chi toccava spazzare questo mese? Toccava forse a me? No, non era il mio turno. Ma nes-suno ha alzato un dito, e l’atrio resta sporco con quattro dita di pol-vere. E anche quello, l’avvocato, si capisce che non c’ha voglia di la-vorare dacché mi dà ragione senza chiedere i particolari, che so: la via dove abito, il civico, a che piano sono, eccetera. Fa fare a me il suo mestiere, e mi dice già dapprincipio: Tu scrivi, scrivi, inizia a buttar giù una dichiarazione, che poi li portiamo tutti in tribunale e ti faccio avere un risarcimento. Se’, figurati l’avvocato, che fa scrivere a me, che razza d’avvocato è!
Ah, ma io scrivo lo stesso, mi viene così facile, Contaci, allora, av-vocato, che scrivo: Il sottoscritto Fëdor Michajlovič Dostoevskij, nato a Mosca il 1821 da padre eccetera e madre eccetera eccetera, ecco, comincio così, e dopo scrivo: In qualità di conduttore dell’appartamento al piano interrato, eccetera, in via eccetera ecce-tera, e proseguo in questa maniera, che suona corretto. E poi scrivo tutto quel che si deve, ho già annotato tutte le cose che non vanno a proposito del genere umano che abita questo palazzo, dalla A alla Z. E sapete che faccio anche? Ci scrivo pure che mi sto ammalando… si capisce che del male al fegato devo farlo presente, perché m’è venuto per causa loro, i condomini, e chi altri sennò. L’ho detto anche al dottore, che mi prescrive l’aria sana. Forse la voglio? No, io non la voglio, l’aria sana, perché devo star male per dimostrare d’aver ra-gione: è chiaro. Ma devo sbrigarmi prima che ci lasci la pelle qui giù in fondo, all’umido di un angolino nel seminterrato, sotto il livello della strada, se voglio averla vinta io.
Loro, che mentre scrivo, mi gettano addosso, dall’unica finestrella che c’ho, dell’acqua sporca… Avanti, maledetti dei piani superiori, datemi altro tormento! Oggi l’acqua, ieri le briciole, domani cos’altro: mi piscerete in testa?! Soltanto gli scarafaggi sembrano fe-lici di vivere in questo seminterrato, li invidio, magari potessi esserlo: insetto; topi, invece, non ne ho visti da queste parti, passano, credo, poi s’affacciano col naso un secondo, è umido, pensano, e vedono che non c’è da mangiare, dopo vanno altrove.
Eppure io pago una rata come loro, maledetti condomini, che fate il vostro comodo. Una festa c’è stata ieri notte, al secondo piano, credo, forse anche il terzo, ma non m’hanno invitato… tutta la notte risate e schiamazzi… e non vi curate di me che sto sotto di voi… almeno l’accortezza di ballare senza tacchi a quell’ora, niente. Ma ecco che, invece, appena io friggo nel burro vi lamentate dei lezzi, e quando al mattino canticchio, altro non volete che il mio silenzio; a me nulla m’è concesso, neppure di tossire, che vi sento farmi il verso. Solo contro tutti, sono.
Non mi restano che i malanni, e i pensieri, che sono diventati la stessa cosa, a darmi ragione col silenzio. Ne metto assieme un po-chetto e poi li scrivo su un foglio, della mia denuncia ne faccio un genere, state a vedere; e scrivo sempre, quando fuori c’è caldo e nel mentre che fuori viene giù la neve bagnata, no, io resto seduto sullo sgabello e scrivo, e a star seduto tutto il tempo nel mio angolino finirà che m’ammalo seriamente prima di rimettere in regola le cose in questo condominio; e alla fine temo non si farà niente.
Mi torna male al fegato, solo a pensarci.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij