Di punto in bianco

Ho scoperto in questi giorni il significato della parola macaia. La macaia è una condizione meteorologica. Quando c’è la macaia si alza la temperatura e compare una foschia diffusa. In questa foschia diffusa tutto assume un’aspetto imprevedibile, le forme si confondono, la realtà si altera. È come se l’umidità invadesse la mente e formasse una condensa in grado di appannare le idee. In questa condizione bisogna più che altro affidarsi ai sensi, acuiti in modo innaturale. Credo sia questa la condizione in cui dipingeva Bernardo Strozzi. Che è un pittore genovese e la macaia è appunto un fenomeno tipico del golfo di Genova.
E mi ricordo di essere stato a una mostra a palazzo ducale, tempo fa, in cui si potevano vedere le collezioni d’arte delle più importanti famiglie genovesi, tesori incredibili accumulati nel periodo in cui la Repubblica di Genova è al massimo dello splendore e i Genovesi pensano che vivere nella peggiore delle repubbliche sia comunque meglio che vivere nel migliore dei regni. Figurarsi poi lì, nella città che ha stregato Rubens, dove i ricchi, forse per via della macaia, spendono cifre folli per arricchire le loro quadrerie. Come i 7 mila ducati (qualcosa di paragonabile a 25 chili d’oro) sborsati da Giovanni Filippo Spinola per una Cena del Veronese.
Insomma in questa mostra era esposto un quadro di Bernardo Strozzi raffigurante Santa Caterina d’Alessandria, una tela fantastica che non sarà costata 7 mila ducati ma li avrebbe meritati tutti. Strozzi la dipinge negli anni 10 del ‘600, quando è a Genova e il Tribunale Arcivescovile sembra non accorgersi di lui e della sua pittura. Il fatto è che Strozzi, a 17 anni, entra nel convento dei frati minori Cappuccini di S. Barnaba, ci resta qualche anno, dopo ne esce e si mette a dipingere per i ricchi Genovesi e lo fa in un modo che il Tribunale Arcivescovile se ne accorge e non è per niente contento: «contra decorem dignitatis sacerdotalis exercuit et exercet artem pictoris, images ac picturas tam prophanas quam non». Ma questo succede dopo, nel 1625.
La Santa Caterina di Bernardo Strozzi è una giovane ultrachic che lui avvolge in una fantasmagoria di bianco: bianco d’argento, di zinco, di China, di titanio… insomma, l’intera gamma delle emozioni prodotte in lui da quel volto, in un giorno e in un anno imprecisati ma in un momento che posso facilmente intuire, ossia quando arriva lo scirocco, la temperatura sale e compare una foschia diffusa e in questa foschia diffusa le forme si confondono, la realtà si altera e lui, Bernardo Strozzi, si affida ai sensi e alle emozioni, che sono incontenibili.
E allora io, durante quella mostra a Genova di qualche anno fa, vedendo il bianco della veste di Santa Caterina mi affido ai sensi e alle emozioni e sento risuonare nelle orecchie le note di una canzone di Paolo Conte:
Macaia, scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia…
e intanto, nell’ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
Genova ha i giorni tutti uguali.

In uno di quei giorni lì, quando il temporale è uguale a qualunque altro temporale, Bernardo Strozzi viene arrestato e, dopo una breve reclusione (siamo nel 1630), rispedito nel convento dei frati minori Cappuccini di S. Barnaba. Solo che lui vuole ancora dipingere e allora scappa e trova rifugio in un’altra repubblica, quella di Venezia. Dove può tornare a dipingere, dove impara la lezione del Veronese, dove i colori si fanno più caldi e le figure più definite. Dove, in un certo senso, il bianco perde d’intensità. Dove, alle volte, tira vento di scirocco e però, anziché portare macaia, porta acqua alta. Dove Santa Caterina d’Alessandria non può avere il volto irripetibile di una ragazza che passeggia per i carrugi. Non può neppure somigliare alla ragazza che Marc Twain incontra a Genova vestita «di una bianca nube dalla testa ai piedi» con «sul capo null’altro che un sottilissimo velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia» (“Gli innocenti all’estero”).
E dopo chissà, come Bernardo Strozzi che torna a dipingere anche Marc Twain, al rientro dal suo viaggio in Italia, torna a navigare sul Mississipi. E lì affronta i temporali, conta i giorni (tutti uguali) e indossa vestiti bianchi, tutti ostinatamente bianchi, dieci anni di vestiti bianchi (gli ultimi dieci anni di vita). Sempre pensando a quel volto, a quella ragazza che passeggia per i carrugi di Genova, alla bianca nube che l’avvolge, alla nebbia che invade la mente e forma una condensa che è pura emozione, luce e follia. Macaia!

Mauro Orletti

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