A Câmpina c’è la casa in cui è morto Nicolae Grigorescu, “il grande artista del romanticismo nazionale”, il nonno – se così si può dire – della pittura moderna rumena. Un genio che, pur avendo incontrato a Parigi l’Impressionismo, sembra più che altro imparentato con i macchiaioli italiani.
Davvero un bel personaggio, un Maestro, che aveva un allievo, Ștefan Luchian, il papà – se così si può dire – della pittura moderna rumena, che è stato un vero artista maledetto, vero perché non gliene andava dritta una, era malato e poverissimo.
Nel 1905 venne organizzata la sua prima mostra di una certa importanza: riuscì a vendere un solo quadro. Peccato che l’acquirente fosse Nicolae Grigorescu, il nonno della pittura moderna rumena nonché suo maestro.
A Câmpina, nella casa di Grigorescu, ci sono dei quadri molto belli, ritratti moderni di volti ancora vivissimi e poi nature morte, come quella appesa all’ingresso. Si tratta di una grande tela apparentemente non finita: al centro oggetti esotici dipinti nei minimi dettagli, ai lati un vortice indistinto di forme e colori.
Sembra che Grigorescu volesse dimostrare ai critici d’arte, allora piuttosto duri nei suoi confronti, che a dipingere nei minimi dettagli son buoni tutti, a dipingere un vortice indistinto di forme e colori invece no. Il vortice indistinto di forme e colori è una scelta precisa e pienamente consapevole che richiede ben altro talento.
E comunque, questo fatto della critica alla quale bisogna sempre dimostrare qualcosa aveva evidentemente tolto il sonno a Nicolae Grigorescu. E se questo è vero per il nonno della pittura moderna rumena, figurarsi per l’artista maledetto, nonché suo allievo, Ștefan Luchian.
Grigorescu, infatti, vendeva. Magari non piaceva alla critica ma vendeva. Tre suoi quadri erano stati acquistati niente meno che da Napoleone III e anche Elisabetta, futura regina di Romania, ne aveva voluto uno per la sua collezione.
Invece Ștefan Luchian, il padre della pittura moderna rumena, alla sua prima mostra di una certa importanza, come si è detto, aveva venduto un solo quadro, ammesso e non concesso che possa essere considerata valida la vendita di un solo quadro al proprio maestro.
Negli ultimi anni di vita, a causa della malattia, Luchian non riuscì più a tenere in mano i pennelli. Perciò, per sfruttare il poco tempo che gli restava, se li faceva legare al polso e così riusciva a dipingere tantissimo, di giorno e anche di notte, quando restava sveglio per via della critica alla quale bisogna sempre dimostrare qualcosa.
E credo che la migliore definizione dell’insonnia l’abbia data un altro Rumeno, Emil Cioran, le cui ripetute notti in bianco lo avevano portato a riflettere su una particolare condizione, ovvero «quando si avverte ogni istante della notte, quando esistete solo voi al mondo, e il vostro dramma diventa il più importante della storia, di una storia ormai svuotata di senso, e che neppure più esiste, giacché sentite levarsi in voi le fiamme più spaventose, e la vostra esistenza vi appare come unica e sola in un mondo nato soltanto per portare a termine la vostra agonia – avete conosciuto questi innumerevoli momenti, infiniti come la sofferenza, per vedere poi riflessa, quando vi guardate, l’immagine del grottesco» (“Al culmine della disperazione“).
Leggevo Cioran quand’ero molto giovane e mi faceva sentire bene la violenza della sua scrittura e la totale mancanza di condiscendenza nei confronti dell’uomo.
Mi è tornato in mente la scorsa notta, in una camera d’albergo di Bucarest, durante una veglia troppo amara e troppo lunga per concedere il sonno, una veglia che, come diceva Cioran, può dare la bestiale e stupefacente soddisfazione di guardarsi allo specchio e vedere riflessa l’immagine del grottesco, una visione così lontana dai volti moderni e vivissimi ritratti da Nicolae Grigorescu, il nonno della pittura moderna rumena, e dalle composizioni plastiche di Ștefan Luchian, il padre della pittura moderna rumena. Molto simile, invece, al vero simbolo dell’insonnia, Vlad Tepeş, meglio noto come Dracula, “il grande artista del romanticismo nazionale”, alle cui occhiaie attinge direttamente il fascino della notte, «quando esistete solo voi al mondo, e il vostro dramma diventa il più importante della storia, di una storia ormai svuotata di senso».
