La seconda volta le parole di Hööshek furono più esaurienti e dicevano: «Se il tuo stomaco è più sazio e il tuo corpo più riposato presso gente estranea che presso di me, tua sorella carnale, allora per quanto mi riguarda puoi restarci fino alla tua morte. Ma nella mia jurta e intorno ad essa ci sono ancora le tue cose, che non so se devo buttarle o se ti servono ancora. Durante il trasferimento ai pascoli estivi mi hanno dato non poco da fare e, sappilo, al ritorno vorrei risparmiarmi la fatica!».
Ma la nonna mantenne la sua calma e in risposta alla sorella mandò queste parole: «Tu, come me, sei nata dallo stesso corpo e cresciuta nello stesso nido. Perciò è tuo dovere portarmi nella steppa quando sarà giunto il momento. Ma io ora ti sciolgo da questo dovere e ti prego di buttare e bruciare le cose che mi appartengono. Salva soltanto la mia biancheria e i miei due ton. Verrò a prenderli quando ne avrò modo e quando sarò morta, Schynykbaj e Balsyng li distruggeranno. E infine ancora una parola: tu parli di gente estranea. Estranei ci sono i kazaki, i cinesi, i russi, eppure anch’essi sono uomini come noi. Se osservi meglio, ti accorgerai che siamo imparentati con gli animali che ci circondano. Perché non dunque con altre persone, chiunque esse siano? Siamo tutti germogli di una pianta, figli di una madre. Non trasformare i tuoi fratelli in estranei. Ti dico questo perché conosco le cose da più tempo di te, perché ormai la mia fine non può essere molto lontana!»
[Galsan Tschinag, Il cielo azzurro, AER 1996]