Comizi

La sede del partito, nel paese di G., non era la sede del partito. Lì, nella sede ufficiale del partito, era tutto prevedibile: il posacenere, i libri, i giornali, anche le sedie e i tavoli. Invece nel nostro circolo – che non si sapeva bene che circolo fosse o perché tutti lo chiamassero circolo, e che era diventato la sede ufficiosa del partito – si entrava in una condizione di incantamento. E questo accadeva alle persone, che cambiavano verso, e anche alle cose, che perdevano forma e funzione.
Il tesoriere, che non fumava nella sede, dove c’era un posacenere un po’ ammaccato di metallo, ne spegneva una dopo l’altra nel circolo, dove c’era un posacenere a scomparsa incastonato in un finto tronco d’albero, con un finto picchio, di finto legno.
Il segretario della sezione, non leggeva mai il giornale, nemmeno Liberazione, e sbuffava quando sentiva una cassetta di Ivan Della Mea. Poi però, quand’era al circolo, sfogliava Geppo il diavolo buono ascoltando Uomini soli dei Pooh.
E l’ortodosso, che ovviamente ci disprezzava per la scarsa fedeltà alla linea, certi giorni ci veniva a trovare nel circolo, ci consegnava le chiavi della sua 128 (bellissima, gialla, con quattro enormi megafoni sul tetto) e ci mandava in giro per il paese a fare annunci sul comizio della sera.
«Questa sera, alle ore 18, in largo Giuseppe Garibaldi, comizio del compagno P., questa sera, ore 18, accorrete numerosi in largo Giuseppe Garibaldi».
Si andava a 30 all’ora, su e giù per il paese, e poi nelle frazioni, e poi nei comuni vicini: «Questa sera, alle ore 18, in largo Giuseppe Garibaldi, ecc…».
Quando finivano i comuni c’erano le campagne. Lì fermavamo la 128, fra il mais e le bietole, e usavamo i megafoni per dire la prima cosa che ci passava per la testa: «Ieri mattina, alle ore 11, ho toccato le tette di Lidia F. Prima la sinistra, compagni, che era tonda e soda come un ragionamento di Amedeo Bordiga».

[Mauro Orletti]

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