Cicuta

Il conium maculatum, privo com’è di attrattive ornamentali e caratterizzato dal nauseante odore di urina, parrebbe un’erba indegna di attenzione, meritevole di un’oscura vita ai bordi delle strade, dove le erbe sono esposte all’insulto del catrame e del monossido di carbonio. Piante neglette a favore delle quali non si lanciano campagne di sensibilizzazione, e mai che un’anima pietosa si veda camminare per strada col secchiello in mano, a innaffiare la saponaria rossa o l’erba astrologa. Anzi, pur di estirparle, si ricorre a diserbanti e falciatrici. Circondate da scarsa considerazione, le erbe subiscono un umiliante scambio d’identità: fiori di camomilla prese per margherite, genziane per campanule, e cisto per vilucchio. Ma sarebbe un errore scambiare per qualcos’altro il conium maculatum, meglio noto come cicuta. Simile al prezzemolo? Al daucus carota? La carota da cucina? Solo per la comune appartenenza alle apiacee? Un’insolenza che perfino un animale rilassato come la mucca pagherebbe cara. E facciano attenzione gli estimatori di cannabis nel coltivare i greti dei torrenti, dove prospera la cicuta d’acqua, specie implacabile nel punire chi prende lucciole per lanterne. Fiera e tenace nonostante la modesta altezza, la cicuta sembra Napoleone ad Austerlitz. Nessun complesso d’inferiorità, né verso le tamerici celebrate da Pascoli, né verso le ginestre leopardiane. Sprezzante come Attila, la cicuta non si cura nemmeno degli alti cipressi di San Guido.
Legata a Socrate come la croce al Salvatore, nella cronaca degli ultimi tremila anni il posto dei vegetali spetta di diritto alla cicuta. E verrebbe da chiedersi perché i filosofi non l’abbiano mai venerata.
Forse per la troppo breve agonia che arreca? Vorrebbe dire che duemila e trecento anni di meditatio mortis non hanno liberato i filosofi dal gusto del macabro.
Forse perché Gesù accetta la croce senza ribellarsi? Ma anche Socrate non fugge, e si rivolge con benevolenza alla guardia che porge il calice.
Forse perché la croce propiziò il passaggio alla vita eterna? Ma anche Socrate ritenne di passare ad altra vita, e non a caso, fra le lacrime degli allievi, ricordò loro di sacrificare per gratitudine un gallo ad Asclepio

Ivan Levrini

[La foto è di: GIOVANNI ZAFFAGNINI, Torre portafari a corona mobile per rotatorie, Ravenna 1992]

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