Dagli Appennini ai moderni

Non tornerò mai dov’ero già
Non tornerò mai a prima, mai
Non tornerò mai a prima, mai
Non tornerò mai dov’ero già

IRATA – DA C.S.I. “Linea Gotica”

Prima del film c’era la presentazione con il regista e il protagonista. il regista ha detto che non era un film biografico ma non era vero. Il protagonista ha detto che voleva che il film lo potesse guardare anche uno che non lo conosceva (da prima) e io non so se è vero ma voglio provare a descriverlo così.
Prima del film comunque il regista ha citato una poesia di Pasolini che non conosco ma era una bella poesia che evocava la forza della tradizione, dell’antico che aleggia sull’Appennino. Una bella poesia, ma io non conosco bene Pasolini.
Il film inizia parlando di una strada che nel 1952, collegando il selvaggio borgo natio del protagonista alla città più vicina, pose fine al medioevo. E poi si vede questa strada che una recente frana ha spazzato via. Il regista ha detto che era la chiave di lettura.
Allora, anche se io non credo di aver capito la lettura del regista , comunque voglio prendere la sua chiave.
La strada collega. Ti fa andare via e ti fa tornare. Quando il protagonista è nato la strada era nuova e lui se n’è andato. Quando è tornato la strada si è rotta.
Quando è sceso dalla montagna il protagonista dice che è diventato un uomo moderno.
Quando è sceso dalla montagna il protagonista dice che è andato a Berlino, ha conosciuto un chitarrista di Reggio Emilia e hanno fondato un gruppo musicale che aveva il nome dell’unione delle repubbliche socialiste sovietiche, in sigla.
La sigla scritta in cirillico, non con quella con i caratteri occidentali, ma letta come se fossero caratteri occidentali, quindi letta così non significa nulla né in cirillico né in italiano.
Il protagonista con quel gruppo cantava della canzoni su palchi piccoli con attorno un mare di giovani che si spingevano e urlavano, ma lui stava lì ritto e cantava con voce monocorde canzoni che ripetevano sempre le stesse parole, ora sussurrate ora urlate. Per esempio Jurij spara Jurij spara Jurij, ma non si capisce se è indicativo o imperativo, se Jurij spara a lui o a qualcuno per ordine suo.
E altre canzoni dicevano che voleva rifugiarsi sotto il patto di Varsavia avere il piano quinquennale e la stabilità e che lui stava bene lui stava male ed era come tu lo vuoi. Ma non si capiva se voleva veramente stare in Romania o Polonia, se ci stava bene o male e se in Romania erano come voleva qualcuno che non si capisce bene chi è oppure nei paesi occidentali siamo come qualcuno vuole ma lì forse no.
Così il protagonista ci dice che è diventato un uomo moderno, ma i moderni nella pianura in cui è andato sacrificavano cataste di maiali e costruivano quartieri IACP e sedi del Partito Comunista vicino a strade piene di puttane e lui da bambino abitava lì (cioè dopo che è sceso dalla montagna) e in tutto questo lui non ci si trovava e allora è andato a Berlino ed è diventato un punk e alla mamma sta cosa non gli piaceva per niente. La mamma, dice il protagonista, soffriva, in silenzio, ma soffriva e non si sono parlati per 30 anni perché lei era troppo delusa da lui. E anche, dice il protagonista, forse perché lui si chiamava come suo padre che era morto di appendicite e lui pure stava per morire di appendicite ma si è salvato e la mamma l’avrebbe voluto come era il padre ma invece lui era un punk.
Quando stava sulla montagna lui era cattolico e felice poi è andato anche allo zecchino d’oro con una suora, ma mago Zurlì non l’ha voluto perché sapeva solo canzoni di chiesa, ma questo prima di diventare punk, perché dopo non è che non fosse più cattolico ma era di lotta continua, finché non si è sciolta.
Poi è stato malato e quasi per morire 4 o 5 volte e sarebbe anche morto se non fosse andato a fare un viaggio in Mongolia, dove ha trovato i cavalli e gli allevatori che vivevano nelle tende e suonavano un musica inascoltabile con pochissimi suoni ripetuti mille volte. E in Mongolia c’erano le cose che aveva lasciato nella sua montagna, i cavalli soprattutto, e la Mongolia stava alla fine di tutti paesi comunisti del mondo messi in fila e lui li ha attraversati tutti. Quando è tornato dalla Mongolia il protagonista ha scritto una canzone che dice che non gliene importa una sega ma fatta bene che non si sa mai, ma questo non lo dice nel film.
Nel film dice che gli hanno trovato un disco di 12 cm nel polmone ed era un tumore e glielo hanno tolto ma senza togliere il polmone.
E così poi è tornato al suo paese, anche se la strada era interrotta. E al paese alleva i cavalli e va in chiesa e parla con la gente del posto, ma io mi chiedo di cosa ci parlerà mai.
Alla fine del film c’era il dibattito con il protagonista e il regista e hanno fatto delle domande e io speravo che qualcuno gli chiedesse di che cosa parla con la gente del paese, ma nessuno glielo ha chiesto. Perché ci sono nato anche io un paese sull’Appennino e ora abito nella pianura dove il protagonista è diventato un uomo moderno e quando torno al paese all’inizio sto bene ma dopo tre giorni mi rompo le palle a morte e con la gente che abita lì, anche se erano miei amici e parenti, non ho un cazzo da dire, perché parlano solo di cose del paese e di persone che non conosco. Il protagonista dice che la gente dei paesi ha abbandonato quelle case e quei posti bellissimi per andare a vivere in città dove sono sempre poveri ma abitano in case di merda e in posti di merda e questo solo per illusione e per andare dietro alla televisione. Ma io credo che se ne sono andati perché si rompevano le palle e volevano stare in mezzo a più persone e meno cavalli. Invece il protagonista dice che preferisce i cavalli, che ha fatto pace con la mamma, che ha fatto pace con dio e con se stesso.
Però continua a scrivere poesie, canzoni e fare film che parlano della sua vita e ha sul caminetto i dischi del gruppo musicale che si chiamava come l’unione sovietica e dice che tante volte si è chiesto cosa rimarrà di lui dopo che sarà morto e pensa a quei dischi.
E io penso che mi piacciono le poesie di Pasolini ma non le cose che diceva e che non ho fatto mai dei dischi e che non so andare a cavallo e che mi piacciono le canzoni con i testi che non si capiscono che mi fanno guadare le cose che penso di capire come se non le capissi e penso che ho capito alla fine che se un giorno vorrò tornare sulla montagna troverò la strada rotta.

Mario Mastrocecco

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