Il platino è un metallo prezioso, più dell’oro. Il platino serve a realizzare i dispositivi anti-inquinamento delle automobili, i catalizzatori per l’industria chimica e, ovviamente, i gioielli. Visto il contesto generale di crisi, una crisi nera nel settore auto, il mercato del platino non va tanto bene. La richiesta delle case automobilistiche cala e così pure il suo prezzo, sceso in un anno del 17%.
Il platino viene estratto per la maggior parte da miniere sudafricane (circal’80%). In Sudafrica ci sono le miniere della Lonmin, finita nell’occhio del ciclone per la strage di minatori del 16 agosto.
La Lonmin conta su un aumento della produzione ed è sicura che il complesso minerario di Marikana darà un contributo decisivo. È perfino disposta ad investire 2 miliardi di dollari, grazie ai quali la produzione annuale del gruppo aumenterà da 750 mila a 950 mila once. Invece a marzo l’utile lordo sprofonda, riducendosi di quasi 10 volte rispetto all’anno prima.
E va be’, i piani della Lonmin sono palesemente sbagliati. Tanto che l’amministratore delegato Ian Farmer è costretto a dichiarare: Abbiamo intenzione di rivedere i nostri programmi di investimento perché il mercato non è in grado di recepire altro metallo e noi dobbiamo tutelare i nostri bilanci.
Tutelare i bilanci. Ecco, tutelare i bilanci è una formula che vuol dire semplicemente tagli. Tagli ai costi. I costi sono una variabile che generalmente viene legata al numero di lavoratori. Tutelare i bilanci, alle volte, vuol dire semplicemente licenziare. Infatti Farmer dichiara al Financial Times che prima di riprendere la politica di investimento il platino dovrà tornare a 1.800 dollari l’oncia e che intanto si dovrà mettere mano ai tagli, consapevoli delle conseguenze sociali delle nostre decisioni.
Ecco, la Lonmin vuol tagliare mentre il sindacato Amcu (Association of Mineworkers Construction Union) chiede per i minatori di Marikana un aumento del salario che attualmente corrisponde a circa 400 euro al mese (quasi tutti i giornali scrivono che la richiesta equivale a 1200 euro ma il leader dell’Amcu nega). Comunque, visto che l’aumento non arriva, viene proclamato lo sciopero. La Lonmin, consapevole delle conseguenze sociali delle sue decisioni, minaccia il licenziamento. Anche perché, come si affretta a dichiarare sul proprio sito, in sei giorni di sciopero ha perso qualcosa come 15mila once di platino, cosa che renderà difficile raggiungere l’obiettivo minimo di produzione annua (le famose 750 mila once).
A complicare le cose si aggiungono i difficili rapporti fra l’Amcu e la Num (National Union of Mineworkers), il sindacato di maggior peso negli ultimi vent’anni, legato al partito dell’African National Congress e sostenitore del governo. La Num è nata negli anni dell’apartheid, contro il quale si è sempre battuta. Ma negli ultimi tempi ha assunto posizioni via via più moderate, scegliendo una politica conciliatrice con le società minerarie (di qui un calo dei consensi… e degli iscritti). E certo, il fatto che Cyril Ramaphosa, suo ex leader fin dagli anni ‘80, sia oggi un ricco uomo d’affari e sieda nel consiglio di amministrazione della Lonmin, non giova all’immagine del sindacato. Sulla quale pesano anche le dichiarazioni dell’ex leader della Lega Giovanile dell’African National Congress, Julius Malema: i minatori sono stati uccisi per proteggere le azioni di Ramaphosa.
Qualche giorno fa i lavoratori iscritti all’Amcu hanno impedito a quelli della Num – che giudica lo sciopero illegale e le richieste avanzate irrealistiche – di entrare al lavoro.
Così, dopo una settimana di scioperi e negoziati fallimentari, arrivano i primi scontri: 10 persone morte (fra le quali due agenti di polizia uccisi a colpi di machete). Mercoledì 15 i due leader sindacali visitano i lavoratori accampati vicino alla miniera. Prima Senzeni Zokwana, presidente della Num, il quale – tenendosi a debita distanza dagli scioperanti – sale su un blindato della polizia (un nyala, dal nome di una gazzella africana), chiede a tutti di tornare a lavoro e se ne va. Poi arriva Joseph Mathunjwa, il presidente dell’Amcu, che tanto per cominciare rifiuta di salire sul nyala, poi si dirige verso gli scioperanti. Con i quali parla per tre quarti d’ora, assicura l’appoggio del sindacato in caso di rappresaglie o licenziamenti, ma chiede anche di rinunciare ad azioni di forza perché, è scritto sulle rocce, se la polizia procede allo sgombero scorrerà il sangue.
Così è. Il giorno dopo, giovedì, la polizia si avvicina al sito della miniera protetta dai blindati. Mentre dispone barricate di filo spinato i minatori avanzano brandendo bastoni e lance di legno. Gli agenti (neri e bianchi), protetti da elmetti e giubbotti antiproiettile, aprono il fuoco: nei filmati tv si vedono i fucili automatici ad altezza d’uomo e si sentono lunghe raffiche. A un certo punto un ufficiale ordina il “cessate il fuoco”: polvere e fumo si diradano, numerosi corpi a terra e poi le figure immobili di altri minatori, in piedi, senza nemmeno il coraggio di scappare.
È difficile commentare quel che è successo. È difficile comprendere come è successo. Il presidente sudafricano Jacob Zuma, rivolgendosi ai minatori in lingua Xhosa e Zulu ha detto: Per tutti noi l’accaduto è doloroso. Non è accettabile che della gente muoia, quando si può negoziare. Ma io condivido il vostro dolore e sono qui per dirlo.
Durante il regime dell’apartheid, Zulu e Xhosa erano considerati cittadini di livello inferiore. Oggi rappresentano la maggioranza della popolazione e godono degli stessi diritti degli altri cittadini sudafricani. Lì a Marikana i minatori son tutti Xhosa e Zulu. Tutti. E sì, godono degli stessi diritti degli altri cittadini sudafricani, però vivono in slum senza acqua corrente e guadagnano 400 dollari al mese. Ma poi che importa? non devono mica comprare un’auto… una di quelle nuove, non inquinanti, con marmitta catalitica prodotta grazie al platino estratto dalla Lonmin.
[Mauro Orletti]