Un missionario viaggiando in India incontrò un fachiro carico di catene, nudo come una scimmia, sdraiato bocconi, che si faceva frustare per i peccati degli Indiani suoi compatrioti, i quali gli gettavano qualche centesimo. “Qual rinuncia alla propria personalità!” diceva uno degli spettatori. “Rinuncia alla propria personalità?” ribattè il fachiro. “Sappiate che io mi faccio frustare il sedere in questo mondo semplicemente per il piacere di far lo stesso con voi nell’altro, quando voi rinascerete cavalli e io cavaliere.”
Quelli che hanno detto che l’amor di noi stessi è alla base di tutti i nostri sentimenti e delle nostre azioni, hanno dunque avuto pienamente ragione, in India, in Spagna, e in tutti i paesi del mondo. E, come a nessuno viene in mente di scrivere per dimostrare agli uomini che essi hanno la faccia, non c’è bisogno di stare a dimostrar loro che tutti son pieni d’amor proprio. D’altronde esso è lo strumento della nostra conservazione: qualcosa di simile allo strumento per perpetuare la nostra specie: una cosa necessaria, che ci è cara, che ci fa piacere, e che bisogna nascondere.
[Voltaire, Dizionario filosofico, Mondadori 1968]