Missioni impossibili

toiya-köna Uscire in canoa cercando di arpionare pinguini o altri uccelli. hakūtalataiyąa aiakāsi Come gli altri, andrò dove l'acqua è più profonda con l'arpione. a.-t.-möni, t.mūtū Volere, desiderare, augurarsi di avere o prendere. t.-na v. Volere desiderare, augurarsi, bramare, attendere di avere o prendere.
[Dizionario Yaghan-Inglese, Thomas Bridges, Zagier y Urruty Publicaciones 1987]

Un buon viaggiatore sa benissimo che in capo al mondo, nella città più australe che esista, è pieno così di turisti. È una regola. E per quanto riguarda i prezzi, sono altissimi. È una regola anche questa. Si paga tutto e si paga caro. Si paga perfino una tassa per entrare nel porto. 7 pesos, solo per entrare. Poi, una volta entrati: chioschi che vendono pinguini in alabastro, cormorani in legno, leoni marini in argento. Sulla destra. Sulla sinistra, invece, imbarcazioni per mini-crociere di quattro sei oppure otto ore.
Non c’è scampo. Allora il buon viaggiatore si mette in coda per navigare sul canale di Beagle. Escursione con tappe su: isola dei pinguini, isola dei leoni marini, isola dei pinguini e dei leoni marini insieme, isola dei pinguini e dei cormorani ma senza i leoni marini, isola del faro, isola senza faro e senza animali, estancia Harberton.
L’estancia Harberton è diventata una meta turistica per via di Chatwin, ma il buon viaggiatore sa benissimo che il suo fondatore, il reverendo Thomas Bridges, e i suoi discendenti di 5° e 6° generazione, gli attuali proprietari, sono personaggi incredibili a prescindere da qualunque narrazione. Del resto è Chatwin a scoprire il lavoro di Thomas Bridges, non il contrario.
La lingua Yaghan – e per deduzione ogni linguaggio – è come una rete di navigazione. Le cose che hanno un nome sono punti fissi, allineati o confrontati, che permettono a chi parla di progettare la prossima mossa. Se Bridges avesse scoperto l’estensione della metafora Yaghan, il suo lavoro non sarebbe mai giunto a compimento. Ma quanto ci ha lasciato è tuttavia bastante per risuscitare davanti a noi la luce dell’intelletto indio.
Cosa dobbiamo pensare di un popolo che definiva la ‘monotonia’ come ‘un’assenza di amici maschili’? O che per ‘depressione’ usava la parola che descrive la fase vulnerabile del ciclo stagionale del granchio, quando ha perso il vecchio guscio e aspetta che cresca quello nuovo? O che faceva derivare ‘pigro’ dal pinguino Jackass? O ‘adultero’ dallo hobby, un piccolo falco che svolazza qua e là, librandosi poi immobile sulla sua prossima vittima?
” [Bruce Chatwin, In Patagonia]
Mentre sfoglia una rarissima copia del vocabolario Inglese-Yaghan custodita proprio lì, nell’estancia, il buon viaggiatore dimentica le persone che ha attorno, le loro manie, i loro tic da turisti compulsivi. Come quello che li porta ad accalcarsi per scattare foto alle colonie di pinguini di Magellano. Migliaia di occhi magellanici che guardano increduli e si capisce subito cosa pensano, quei pinguini lì, dei turisti compulsivi.
L’estancia Harberton si trova su una baia – quella che il governo argentino assegnò a Thomas Bridges per ripagarlo del servizio prestato sul canale di Beagle – e su questa baia si spiaggiano una quantità incredibile di balene, capodogli, foche, delfini, orche. E naturalmente pinguini e leoni marini. Basta fare un giretto in riva al canale per imbattersi in denti, ossa, crani, carcasse di ogni tipo.
È abbastanza normale, quindi, che proprio qui, nell’estancia, sia sorto un museo di uccelli e mammiferi marini australi: il museo Acatushun. C’è anche un piccolo laboratorio dove gli esemplari raccolti vengono infilati in barili colmi fino all’orlo di una soluzione che permette di staccare i brandelli di carne e pelle ancora attaccati alle ossa. Che poi vengono lavate, classificate, infine riassemblate in uno scheletro da esporre nel museo. Il laboratorio potrebbe sembrare la capanna di un vecchio marinaio, ma il buon viaggiatore non si lascia ingannare, sa benissimo che nasconde una collezione di orrori, che questa collezione ha un odore terribile che dopo qualche minuto si può anche morire soffocati. Infatti il buon viaggiatore, esce ad aspettare l’autobus per Ushuaia.
Gli capita così di leggere un pannello esplicativo che dice a chiare lettere che il museo Acatushun ha uno sponsor: Total. Consulta la sua guida: “il museo riceve il sostegno di alcuni finanziatori privati”. Ma Total, come il buon viaggiatore sa benissimo, non è “alcuni finanziatori privati”. È una delle cinque sorelle: Exxon Mobil, Royal Dutch Shell, Chevron, British Petroleum… e Total.
Le cinque sorelle, che al tempo della prima crisi petrolifera erano sette, sono sempre in prima linea. Acatushun, Iraq, Birmania. Qui, cioè in Birmania, secondo la denuncia presentata in Belgio da quattro rifugiati, Total avrebbe utilizzato manodopera fornita dalla giunta militare – cioè schiavi – per la costruzione di un gasdotto.
Perché, cosa c’è di strano? pensa il buon viaggiatore. I grandi capitali finanziano le imprese, le imprese sfruttano la manodopera ed esauriscono le risorse, poi, quando (e se) viene il momento di regolare i conti, si scopre che hanno una fondazione che aiuta la ricerca scientifica nella Terra del Fuoco. Cosa c’è di strano?
Anche quel reverendo lì, pensa il buon viaggiatore, Thomas Bridges, pure lui un bel tipo: arriva in Argentina, costruisce la sua missione, impara la lingua yaghan e poi convince gli Yamana a viverci dentro. Perché?
Sono nomadi e li rende prigionieri, sono cosparsi di grasso di foca e li lava, sono nudi e li copre con dei vestiti occidentali. Con addosso cenci sporchi e bagnati gli Yamana iniziano ad ammalarsi. Per ogni raffreddore di Thomas Bridges ne muoiono dieci.
Ah non è così? domanda il buon viaggiatore al turista scettico. Intanto però i discendenti di 5° e 6° generazione del caro reverendo Bridges vivono ancora lì, nell’estancia, gli Yamana, invece, si sono estinti. Poi, finiti gli Yamana, finite le missioni. E spuntano i ranch. Estancias.
Comunque, bella la tua copia del vocabolario Inglese-Yaghan, dice il buon viaggiatore al turista scettico, come hai fatto a procurartela?
L’ho comprata, risponde quello, 72 pesos.

[Mauro Orletti]

2 commenti

  1. Pietro Spina

    Eh sì, era meglio se a questo mondo ci stavamo ognuno al posto suo, nel suo spicchio di mondo, ad adorare ognuno i suoi dei e a sposare ognuno le sue mogli e a cospargersi ognuno del grasso dei propri buoi, invece che andare a rompersi le corna nei paesi altrui, in capo (o in culo) al mondo, ad esportare democrazia, vestiti, missioni e compagnie petrolifere e a guardare animali per i quali la nostra lingua non ha nemmeno un nome. Maledetti occhi magellanici, che per puro desiderio di stupirsi si avventurano in terre incognite (per loro) a dare nomi a cose città piante animali che nomi avevano già, pensando, sol per questo, di potersi chiamare esploratori.
    C’è mai stato un esploratore non occidentale che abbia “scoperto” l’occidente? Un Marco Polo cinese che ha scoperto Roma? Un Vasco de Gama indio che ha scoperto Parigi? Certo che no!
    Maledetti buoni viaggiatori eurocentrici e maledetto pure quello che disse che fatti non fummo a viver come bruti, sicuramente lo pagava la Total

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  2. Mauro

    ma no, non era meglio quando si stava peggio e non era meglio quando ognuno stava al suo posto.
    era meglio se la total (e non solo la total) evitava di fare affari con una dittatura militare. ed era meglio se bridges – che pure era animato da buone intenzioni (come può non esserlo chi dedica tanto interesse alla lingua di un popolo?) – evitava di imporre stili di vita sui cui effetti, magari, avrebbe potuto interrogarsi.
    a pensarci bene, era anche meglio se, imbarcati su un catamarano che ruotava di 360° di fronte ad ogni isola (sia essa di pinguini, leoni marini, ecc…), i turisti compulsivi aspettavano di trovarsi sul lato giusto per scattare foto anziché accalcarsi uno sopra l’altro a prua, a poppa, sul fianco destro e poi su quello sinistro.
    non sto mica dicendo di viver come bruti… solo che per “seguire virtute e canoscenza” bisogna sforzarsi almeno un po’.

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