O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
Inferno V, 88-93
A parte gli animali Benigni, i commentatori della Commedia hanno spiegato che Dante, nonostante l’approccio benevolo ed una certa dolcezza dei versi, non giustifica in alcun modo il grave peccato della carne e del sangue di cui si sono macchiati i famosi amanti del Canto V e li colloca senza attenuanti nell’inferno profondo, tra le anime dannate per l’eternità. Certezza della pena dunque, ma senza infierire moralmente, con la consapevolezza che quella “animalità” che menò coloro al doloro passo è, in fin dei conti, anche la sua, di animale grazioso.
Per questo forse essi pregherebbero per lui, dicono, poiché ha pietà del loro male.
Dante, che ha posto i suoi personaggi in mezzo alla pena, guardandosi con gli occhi di Francesca, riconosce in se stesso la pietà con cui guarda al peccato, e anziché vergognarsi di tale sentimento come di una debolezza che lo accomuna a loro, ne fa altissima poesia.
Pietà e compassione, non rientrano forse tra le virtù teologali né tra quelle cardinali. Eppure sono la migliore virtù umana, che ci mette in comunicazione con Dio. Anzi, di tale comunicazione sono la chiave necessaria, il presupposto, poiché solo un animo capace di provare pietà per l’umano può innalzare gli occhi verso il divino.
Treman le vene e i polsi di fronte alle critiche cui mi espongo con questa mia orazione piccola in difesa dell’indifendibile, ma nondimeno mi arrischio.
Indifendibile è la Chiesa, Una Santa Cattolica e Romana. Indifendibile la sua Curia, divenuta sinonimo di falsità, di interessi inconfessabili, di ipocrisia. Guai a te Chiesa meretrice! Guai a te che taci di fronte alle scelleratezze dei tuoi rappresentanti! Io ti dico che Dio ha già sguainato la sua sciabola sopra di te inveiva Savonarola.
E dire che ci hanno provato in molti a riformarla, a cercare di salvare il bambino invece di gettarlo con l’acqua sporca in cui sta soffocando. E dentro e fuori dalla Chiesa e anche cercando di sfasciarla. Eppure è sempre là, che sorride con la faccia sorniona di Ruini, antipatico come uno juventino che ti dice “ci attaccano perché vinciamo”.
Sarà forse un peccato originario, una tara nel DNA, addirittura nei dieci comandamenti, in cui la donna è relegata all’ultimo posto, come la roba, peggio della roba. Donne e roba, intesi come oggetto di desiderio e concupiscenza, messi alla fine come per esorcizzare il mostro che dentro di noi le mette al primo posto, un mostro che è Diavolo come Dio rovesciato. O forse è Dio che è il Diavolo rovesciato?
O forse questa chiesa c’è perché ci sono gli uomini a farla? E come uomini peccano e i loro peccati sono tanto più nefandi quanto più essi si fanno portatori di messaggi di purezza.
Eh sì, sarà un difetto genetico delle fedi messianiche, una specie di riflesso condizionato per cui chi predica bene deve necessariamente razzolare male.
O forse è che anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che si dica perfetto e che aspiri per noi alla perfezione per poi goderci il suo fallimento e in esso redimerci e bearci della nostra imbelle mediocrità. Nel sentire il tonfo di chi cade dall’altare su cui si era (o lo avevamo?) messo, godiamo della nostra umanità, amiamo quel limite che non abbiamo neanche cercato di superare, nutrendoci del disprezzo per chi ha cercato di farcelo odiare. La felicità di essere uomini nel momento in cui si vede morire l’Uomo fattosi Dio è indescrivibile.
Ogni giorno si consumano tremendi delitti a sfondo sessuale, ogni giorno scandali di corruzione. Quando il pedofilo è il bidello della scuola o il camorrista del quartiere rabbrividiamo, vorremmo cambiare canale per non sentire quanto siamo indifesi (come individui) e quanto siamo (come collettività) schifosi e malati. Ma quando il pedofilo è il prete o il vescovo? Alza il volume, fammi sentire… vuoi mettere? Chi prega, quando poi pecca, pecca due volte. Se il bidello pedofilo va punito (o anche, magari, curato, recuperato), il prete pedofilo andrebbe scuoiato, lui e tutta la Chiesa che come al solito lo difende. E ci piacerebbe chiedere a Ratzinger cosa ne pensa, lui che è tanto bravo a fare predicozze contro le donne che abortiscono e contro gli omosessuali! Loro che fustigano i costumi sessuali di gente che si ama e proteggono chi distrugge la vita a bambini innocenti.
In effetti non è che il Papa abbia mai difeso un pedofilo, ma noi lo accusiamo di difenderlo “implicitamente”. Non ci interesserebbe allo stesso modo di chiedere al Preside di una scuola o al Ministro dell’Istruzione cosa ne pensano del bidello pedofilo, né, tanto meno, ci sogniamo di pensare che “implicitamente” lo difendono. Ma ci sembra che l’esistenza stessa della Chiesa, dopo che un prete pedofilo è stato scoperto, sia una specie di difesa implicita, di copertura. Ci chiediamo indignati come mai il Papa non espelle ogni sacerdote che sia stato anche solo sfiorato da sì immonda accusa; anzi, piuttosto che perdere tempo ad aspettare inchieste (come se fossero mai stati garantisti con quelli che hanno messo sul rogo) il Papa stesso dovrebbe chiedere scusa a tutto il mondo, smontare il baraccone, rinnegare tutto e donare l’intera basilica di S. Pietro come risarcimento all’umanità.
A pensarci bene, ci scandalizza di più di sapere che un vescovo ha ricevuto una mazzetta o ha chiesto un favore alla mafia piuttosto che scoprire che degli stessi reati si sono macchiati amministratori pubblici. Eppure nel secondo caso sono soldi nostri. Ma col prete, diciamocelo, col prete c’è più gusto; gusto del torbido, non solo il reato, ma anche il peccato, il doppio peccato di chi ha fatto il voto ipocrita di castità e povertà.
Vien voglia di invocare la tonaca come aggravante del reato o, quasi quasi, di invocare il peccato del prete come attenuante per il peccato dell’uomo comune.
No, ad essere sincero, a me dispiace quando sento di un prete che si mostra indegno del suo ufficio, anche se quello è un ufficio a cui non mi sono mai rivolto. Non mi sono mai confessato né ho mai preso la comunione, ma soffro ogni volta che scopro che quel prete da cui molti hanno preso esempio e comunione in realtà è debole come un uomo qualunque.
Soffro come uomo, non come cristiano. Soffro e provo pietà, di fronte al fallimento dell’umano. Dell’umano un po’ folle, un po’ eroico e molto tracotante che ha chiesto a se stesso di non desiderare, che si è imposto un obiettivo troppo difficile, ha fatto una promessa che non poteva mantenere. Soffro per chi è voluto andare oltre l’umano e si è scoperto più debole dell’uomo.
Non c’entra niente il perdono, come aveva capito Dante. Bruceranno all’inferno, visto che l’hanno inventato loro, e per quanto ci riguarda, abbiamo inventato le prigioni e per il momento marciranno lì.
Forse è per quello che la chiesa c’è e ci sarà ancora per molto. Non per il perdono, ma perché abbiamo bisogno di qualcuno che continui a predicare il Bene ed a mischiarsi col Male ed a fare promesse troppo difficili da mantenere. Abbiamo bisogno di veder fallire i tentativi di santità.
Cosa credete, che il Figlio dell’Uomo non sapesse su quale pietra friabile stava fondando la sua Chiesa? E che se l’avesse voluta perfetta, santa, invincibile, non se la sarebbe fatta da solo, con gli angeli e tutto il resto? Ma se si è fidato Lui di una moglie così, se se l’è scelta accettando il rischio delle corna, che per Lui, onnisciente, era una certezza, forse la voleva proprio così.
Forse voleva che ci fosse qualcuno all’inferno e che vedendolo punire riuscissimo ad avere pietà del nostro mal perverso.