Io non ci tengo per nulla a far sapere alla gente che scrivo. Mi dà noia. Però, quando la gente pensa che fai per davvero lo scrittore, quando non sa che invece fai l’impiegato, c’è il vantaggio che cominciano ad arrivarti – da mittenti sconosciuti – inviti a presentazioni di libri, pubblicità di eventi culturali, locandine di reading e letture, programmi di festival e serate, e può anche capitare che arrivi la mail di Andrea Cortellessa che annuncia che il giorno taldeitali nell’aula Marescotti del DAMS lui e Gianni Celati si intratterranno in una breve conversazione sul libro Alice disambientata, materiali collettivi (su Alice) per un manuale di sopravvivenza, assemblato dallo stesso Celati in una nuova edizione (Le Lettere) curata, appunto, da Cortellessa.
Siccome faccio l’impiegato, ma questo la gente non lo sa, arrivo che la conversazione è già iniziata. C’è Cortellessa che parla e Celati che ascolta. C’è Cortellessa che va avanti un buon quarto d’ora e Celati che ascolta per quindici minuti buoni. Trattandosi di una conversazione mi aspetto che prima o poi Celati risponda. Il fatto, comunque, è ben strano. Alice disambientata, infatti, è la storia della Bologna del DAMS anni ’70, una Bologna contemporanea e complementare rispetto alla Bologna della morte di Lo Russo, dei blindati in piazza Maggiore inviati da Cossiga, del Pci che non sa che pesci pigliare e appoggia la decisione dall’allora Ministro dell’Interno. C’è la Bologna di Potere operaio e Lotta continua, la Bologna dell’università occupata (siamo nel ’77), la Bologna di RadioAlice e A/traverso, ma c’è anche la Bologna del collettivo A/Dams.
Dal 1976 Celati tiene un corso di letteratura anglo-americana. Fra i suoi allievi ci sono Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Claudio Piersanti, Roberto «Freak» Antoni, Andrea Pazienza. Durante le lezioni Celati legge testi della letteratura vittoriana: Charles Dickens, Edward Leach e Lewis Carroll (ed ecco spuntare Alice). Quando l’università viene occupata Celati e i suoi studenti fondano il collettivo A/Dams e continuano a riunirsi, a leggere, discutere, dibattere, conversare. Conversare, appunto.
Cortellessa finisce di parlare e subito attacca Celati. Dice che è sempre stato appassionato di pop art. Gli è sempre piaciuto il modo in cui questa corrente ha trattato gli oggetti di uso quotidiano. Alice disambientata è un libro che tratta i materiali venuti fuori dal periodo di A/Dams nello stesso modo in cui gli artisti della pop art hanno trattato gli oggetti di uso quotidiano. Dice che il libro è composto da tanti pezzetti di carta, vere e proprie reliquie del tempo. I gerghi allora in voga, i sottogerghi utilizzati, anche quelli sono reliquie del tempo perché filtrati dentro le parole e lì, in un certo senso, conservati come frammenti di vite fossilizzate.
L’Italia, dice Celati, è un paese difficile da sopportare. In Italia tutti vogliono sapere da che parte stai. Tutti hanno, e pretendono dagli altri, atteggiamenti giudicanti. In realtà si tratta di forme di autodifesa. Autodifesa da certi standard di comunicazione aggressivi e spettacolarizzanti. È così che oggi circolano le idee, in questo modo, con questo tasso di violenza. Ed così che avviene la confusione ed il mascheramento, è così che si riesce a far circolare la spazzatura.
Celati riduce tutta la questione alla seguente domanda: cosa saranno diventati i nostri pezzi di carta fra 50 anni? Fatta la domanda trovata la risposta: saranno diventati spazzatura. Anche ciò che non lo sarà, che non sarà diventato spazzatura, sembrerà comunque scampato al bidone. Noi stessi, ammette Celati, anche noi siamo spazzatura al servizio di questa una comunicazione guidata dalle logiche del fare colpo, del conquistare un bottino.
Mentre conversa così mi domando se durante le lezioni diceva le stesse cose, se le aveva già intuite. Marco Belpolito, in un articolo comparso su La Stampa qualche giorno fa, definisce Alice disambientata un testo indispensabile per capire l’avvio della nuova stagione che conosciamo col nome di riflusso.
Innegabilmente, i pezzetti di carta di Celati sfatano il mito della politica come chiave di lettura del presente e ne propongono una nuova: l’intensità dell’avventura. L’innamoramento concepito come “troppo sentire”, ad esempio, è un momento di questa intensità. Ecco per quale motivo Cortellessa dice che l’innamoramento proposto dal collettivo A/Dams esige l’eliminazione della politica. Sul finire degli anni ’70 il partito, come anche la famiglia, è diventato una prigione (vedi alla voce Partito Democratico). Nel partito, come anche nella famiglia, la fantasia ha rinunciato alla propria funzione: inventare realtà diverse da quelle esistenti. E perciò l’arte e la letteratura, sia che utilizzino il gergo moralista della famiglia, sia che si esprimano attraverso il sottogergo della politica, non hanno più niente di rivoluzionario. I pezzetti di carta raccolti e assemblati da Celati smontano la morale borghese con lo stesso accanimento con cui se la prendono con il sovietismo rivoluzionario.
In fondo, dice Celati, che ormai parla da più di un quarto d’ora – perché questa è una conversazione dai ritmi lenti, una forma di comunicazione poco aggressiva e assai poco spettacolarizzante – gli anni ’70 erano un periodo in cui si faceva a gara a chi era più rivoluzionario. Ma si trattava di un errore perché anche quella, in fondo, diventava spettacolarizzazione “monnezzara” e, almeno nella forma, circolazione di spazzatura. Anche questo Celati lo aveva previsto e teorizzato sin dagli incontri del collettivo. E aveva intuito che l’intensità del troppo sentire sarebbe diventato il verbo e il modo anni degli ’80: esaltazione del privato e dell’individualismo, di una sentimentalità diffusa che Tondelli e Pazienza avrebbero definito in libri, articoli e fumetti.
Celati, invece, avrebbe cominciato a viaggiare, a vagabondare lungo gli argini del Po, certe volte da solo, certe volte in compagnia, ma sempre con l’atteggiamento dell’esploratore romantico, del narratore delle pianure. Un atteggiamento intatto ancora oggi, un atteggiamento che lo porta a dire, a proposito di Alice disambientata: “non credo sia un libro da leggere, è tutto storto, tutto sbagliato, tutto fasullo ed anche tutto sincero”.
Mauro Orletti