Dunque questo pezzo mi viene lungo, voi perdonate ma ho bisogno di spazio. Comincio dall’ultimo libro di Gianni Vattimo. Anzi, comincio da Gianni Vattimo. Gianni Vattimo è un filosofo. Lo so perché me l’ha detto anni fa il professore di filosofia del liceo. Quando mi ha interrogato su Nietzsche mi ha detto: non c’hai capito niente, leggiti Vattimo. Io sono andato a leggermi Vattimo e non c’ho capito niente di Nietzsche, niente di Vattimo, niente di niente.
Questo Vattimo, dunque, è un filosofo. È nato nel 1936. Come ogni filosofo che si rispetti insegna filosofia e si occupa di politica. È stato nel Partito Radicale, poi nei DS, poi nel parlamento europeo. Ha scritto anche dei libri di filosofia. Su Nietzsche ma non solo. Il più famoso, almeno credo, l’ha scritto a quattro mani con Pier Aldo Rovatti e s’intitola Il pensiero debole. Più di recente ha pubblicato Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era. Al che io, appeno l’ho visto ho pensato: aridajje con Nietzsche.
Ecce homo. Come si diventa ciò che si è l’ho letto al liceo e non l’ho capito. C’è di buono che il libro di Vattimo non è un saggio filosofico ma una specie di autobiografia.
Mentre lo scrive, la riorganizzazione della politica a sinistra, l’abbattimento della Quercia e la costituzione del nuovo Partito Democratico sono ormai delle certezze. Allora lui, Vattimo, si pone il problema “ri-diventare ciò che si era”, cioè libertari e comunisti, il problema di riprendere la critica marxista al potere capitalistico, ormai diventato intollerabile, ormai degenerato. Al punto che, roba da matti anche solo pensarlo, al punto che, e figurarsi dirle certe cose!, al punto che… la rivolta del “proletariato” mondiale non sarebbe del tutto inconcepibile. E non lo dice mica uno qualunque, mica un professore di filosofia del liceo, lo dice Vattimo, nato nel 36, politico, filosofo, autore di Il pensiero debole, ecc…
Uno che pensa e dice certe cose non può andare d’accordo con i vari D’Alema, Fassino e tutta la classe dell’89. E non può accettare l’annacquamento delle idee politiche della sinistra e la graduale trasformazione dei DS in una forza politica moderata (il partito Democratico) alla continua ricerca di consensi nel centro e perfino nella destra, in una coalizione che sbandiera ai quattro venti un finto progressismo ed accetta senza fiatare la legge del mercato e del “capitalismo compassionevole”. Un partito incapace di raccogliere la prospettiva teorica della sinistra. Un partito troppo impegnato nella conta dei voti per accorgersi della progressiva proletarizzazione della società, degli operai e delle classi medie. Troppo impegnato a spremere i punti neri delle sue maschere televisive per accorgersi che anche il capitalismo non è più quello di una volta, quello capace (almeno così si diceva) di assicurare libertà di opinione, di coscienza, di espressione… di garantire la privacy… e non come lassù, a Mosca, non come la Russia, le spie e gli archivi del Cremlino.
Allora i fatti son due: il capitalismo di una volta (se mai c’è stato) non esiste più; Tronchetti Provera è un fuoriuscito del KGB.
Per essere chiari. Nel 1997 Telecom è ancora sotto il controllo dello Stato. Poi arriva il governo di centrosinistra e Prodi decide che bisogna di privatizzare. Nel 1999 sono già pronti Colaninno, Gnutti e una cordata di 200 imprenditori: lanciano la scalata a Telecom attraverso la Bell. Funziona così: a capo c’è’ l’Hopa che controlla la Bell, che controlla l’Olivetti, che controlla la Tecnost che controlla la Telecom.
Sarebbe già vergognoso così ma c’è di più. La Bell, infatti, possiede meno del 30% del capitale Olivetti. Sicché quando Tronchetti comprerà Telecom lo farà senza lanciare un’offerta pubblica di acquisto, con una finta scalata in parte a debito.
Torniamo al 1999. In quel momento a capo della Telecom c’è Franco Bernabè. A Bernabé non gli va giù questo fatto della scalata di Colaninno. Convoca un’assemblea degli azionisti per tentare di contrastarla. L’appuntamento è importante. Banca d’Italia: assente. Il direttore generale del Tesoro: assente. Lo stesso Draghi viene invitato da D’Alema, D’Alema!!!, a non parteciparvi. Lo stesso D’Alema, D’Alema!!!, viene invitato da Draghi a mettere per iscritto la richiesta. Non se ne saprà più nulla. C’era una volta D’Alema, D’Alema!!!, e la sinistra.
Alla fine Colaninno e Gnutti comprano la Telecom e, da bravi amministratori italiani (l’italianità della Telecom), si danno subito da fare per accumulare debiti. Per esempio comprano la Seat, quella delle pagine gialle, quella che il governo del ‘96 aveva scorporato dalla Telecom, quella venduta per circa 850 milioni di euro alla Otto, finanziaria del Lussemburgo fra i cui soci figurano anche Gnutti e Colaninno. La vendono e dopo qualche anno la ricomprano. La vendono a 850 milioni di euro, la ricomprano a 6,7 miliardi di euro. A rimetterci sono, come sempre, gli azionisti dalla Telecom.
Nel 2001 cambia il governo e arriva Tronchetti Provera. La catena di società messa in piedi da Colaninno e Gnutti, a confronto, è roba da ridere. Tronchetti si organizza così: a capo l’Mpsapa , che controlla la Gpi, che controlla la Camfin, che controlla la Pirelli & company, che controlla la Pirelli spa, che controlla l’Olimpia, che controlla l’Olivetti, che controlla la Telecom. Voilà.
Tronchetti compra da Colaninno pagando le azioni 4,17 euro, cioè il doppio del valore di borsa. Un bell’esordio. Anche dopo le cose non migliorano. Dal 1999 al 2006 vende tutto il patrimonio immobiliare. Ma il patrimonio immobiliare di Telecom non sono ville in Sardegna o terreni agricoli. Il patrimonio immobiliare di Telecom sono strutture funzionali all’attività d’impresa. Perciò Telecom vende e poi riprende in affitto in leasing a 30 anni. Dal 1999 il debito verso gli obbligazionisti è passato da 984 milioni di euro a 33,4 miliardi, è stato trasformato in bond, quindi collocato sul mercato di mezzo mondo. Il consolidato di gruppo produce 15 miliardi di utili ma Telecom ne distribuisce quasi 22, cioè 7 miliardi in più di quanto ha prodotto. Per dire.
E infine arrivano i guai giudiziari. Ma non quelli che ti aspetteresti per operazioni finanziarie illegali. Le inchieste della magistratura svelano un’inquietante attività di spionaggio che coinvolge i vertici della security Telecom e Pirelli.
Lo dicevo io che Tronchetti Provera era russo. Ed il Partito Democratico filosovietico.
Ecco allora che Vattimo tira fuori questa storia di un liberalcomunismo che recepisca le critiche al dogmatismo di Marx e scampi una volta per tutte dalle deviazioni autoritarie del socialismo reale e, quindi, dalla fede nell’esistenza di una verità obiettiva della storia, dello Stato, dell’essenza umana. “Il comunismo reale è morto, viva il comunismo ideale”.
Tronchetti Provera, il fuoriuscito del KGB, rischia forte e non lo salverà il delirio di onnipotenza tecnologica di un capitalismo che Bertinotti ha definito, giustamente, “impresentabile”. E non lo salveranno neppure le intercettazioni, i dossier, le informazioni riservate, le spie, le cimici e le talpe, il Cremlino e Ivan Drago. Se è vero, come si legge in Ecce comu, che siamo ancora nella condizione di una prima rivoluzione informativa-informatica, che la società del controllo globale si sta appena costituendo e che l’insofferenza delle masse non è ancora diretta contro l’oppressione della disciplina sociale, è altrettanto vero che il bisogno “tecnologico” di comunismo potrebbe diventare una realtà. Infatti anche il professore del liceo ha preso le sue belle contromisure, si è preparato a rispondere ai Tronchetti Provera di tutto il mondo, si è attrezzato con elettrificazione più soviet (e chissà cosa penseranno Mario e Giovanni Lindo Ferretti). Io, per quanto mi riguarda, sono tornato a leggere Vattimo e, quasi quasi, ho iniziato a capirci qualcosa. E, quasi quasi, passo a Nietzsche e vediamo cosa succede.
