Il 2 dicembre 1972 su “Il Giorno” compare un articolo a firma Giorgio Amendola. Argomento: il carattere laico del PCI. Si parte da una visione rigorosamente laica dello stato, si fa tutto il giro e si va direttamente all’imperativo categorico della laicità del partito… senza passare dal via. E’ il percorso obbligato dell’uomo libero… nel senso dell’uomo che conosce, che sceglie, che rifiuta. A marcia indietro si percorre la via dell’integralismo: ogni cazzo di momento della vita finisce per essere controllato da un perfetto sconosciuto, che lo puoi chiamare chiesa oppure patria oppure partito, lo puoi chiamare come ti pare fatto sta che ti controlla dall’esterno, lo sconosciuto. Amendola fa esempi molto concreti. Amendola parla di integralismo islamico, di integralismo cattolico, integralismo israelitico… perfino di integralismo socialista.
Contro l’integralismo, anche quello socialista, deve levarsi la libertà di coscienza dell’individuo. Anzi, proprio il movimento socialista dovrebbe darsi una svegliata e riconoscere in essa, nella libertà di coscienza, il nucleo fondante della lotta per l’emancipazione dei lavoratori. E dovrebbe anche iniziare a fare i conti con una certa visione del partito rivoluzionario, dogmatica a dir poco, che se ne fotte dei limiti della disciplina politica ed impone schemi ideologici ad ogni sfera del pensiero e dell’azione, in campo religioso, culturale, artistico, filosofico.
Nel 1972, scrive Amendola, il movimento operaio è ancora pieno di compagni che guardano al socialismo e al partito come ad una fede, di più, come ad una chiesa. Ora, è vero che nessun comunista dovrebbe ignorare il nesso che lega la politica alla cultura, alla filosofia, all’arte e alla stessa religione. Ma è anche vero che la sua libera coscienza dovrebbe accorgersi dell’esistenza di questo benedetto nesso e giocare il ruolo di arbitro fra esperienza individuale e programma di partito.
Queste cose le dico perché due settimane fa alla trasmissione di Fazio “Che tempo che fa” c’era Veltroni, sindaco di Roma, ipotetico futuro presidente dell’ipotetico futuro partito democratico – che era lì per presentare il suo ultimo libro La scoperta dell’alba che – diceva lo stesso Veltroni – è un grande atto d’amore nei confronti di questa cosa straordinaria che è la vita.
Il presidente putativo del futuro partito democratico, rispondendo alle domande di Fazio, ha iniziato a parlare della festa del cinema di Roma, di questa cosa straordinaria che è davvero una grande festa e, naturalmente, un atto d’amore nei confronti del cinema. Sostanzialmente non ha detto altro, né di letteratura né, tantomeno, di cinema… per non parlare di politica. In tal modo, certo, il sindaco di Roma ha girato alla larga dall’accusa di integralismo socialista (e comunque avrebbe maggior fondamento quella di integralismo cattolico), però viene il dubbio che al posto della sua libera coscienza si sia insediato un commissario prefettizio.
Domenica scorsa, sempre ospite di Fazio, c’era invece Ingrao. Quando ho acceso il televisore stava raccontando con trasporto una delle migliori sequenze di “Luci della città” di Chaplin e suggerendo a Fazio di aprire le puntate successive con quella stessa sequenza. Poi, verso la fine dell’intervista, ispirato da chissà quale demone integralista, il primo ha chiesto al secondo: sente ancora di essere comunista? cosa vuol dire oggi essere comunista? Senza un attimo di esitazione Ingrao ha giurato di essere ancora comunista e spiegato che questo, semplicemente, vuol dire essere dalla parte del più debole, cioè dalla parte del proletariato. Pare infatti che anche oggi sopravviva un proletariato e che sia tuttora collocato sotto le suole di un padronato violento e corrotto.
Adesso io mi domando cosa avrebbe risposto alla stessa domanda il supposto grande leader dell’ipotetico partito democratico. E mi dico che non lo saprò mai visto che Fazio, non a torto per la verità, ha invitato il sindaco di Roma a parlare del suo libro e di questa cosa straordinaria che è la vita. E non ha ritenuto di chiedere altro. Non gli è nemmeno passato per l’anticamera del cervello di fare una domanda sul comunismo e su questa cosa straordinaria che è il proletariato di oggi.
Si spera che il pubblico di “Che tempo che fa” sia l’uomo libero di cui parla Amendola, quello che conosce, che sceglie, che rifiuta. Così forse ci risparmieremo il futuro grande partito democratico. I libri di Veltroni, invece, ce li dobbiamo tenere.
Mauro Orletti