Ho venduto più di Schopenhauer

“Già a sei anni i miei genitori, tornando da una passeggiata, mi trovarono al colmo della disperazione.”
Niente male eh? Si capisce subito che a casa Schopenhauer tira una brutta aria. Io, per esempio, me la immaginavo buia, tetra, umida e piena di ragnetele grandi come gomitoli. E ogni volta che mi capitava sotto gli occhi il suo nome sentivo puzza di muffa.
Scrittori, filosofi e pittori non sono altro che uomini, dotati di genio o talento, ma pur sempre uomini… e come uomini possono essere oggetto di pregiudizi, antipatie, intolleranze.
Proprio per questo andrebbero trattati senza riguardo, quasi che fossero gli sconosciuti con i quali si è costretti a dividere il tavolo durante il matrimonio di parenti di terzo grado.
Vanno bene le sensazioni “a pelle”, ma poi bisogna tentare di conoscere le persone per capire se sono davvero così moleste. Schopenhauer è il tipico esempio di uomo che, se frequentato, dimostra di non essere così terribile come sembra. Quando pubblica Il mondo come volontà e rappresentazione ha 31 anni, si considera un genio incompreso e disprezza la gran parte degli uomini (i “bipedi comuni” li chiama non senza ironia). Ma come non sorridere di tanta misantropia sapendo che del suo capolavoro si vendettero solo 230 copie? E che anche la seconda edizione non andò oltre le trecento?
Me lo vedo: il brutto grugno dell’insofferente, la testa spelacchiata, i lunghi favoriti bianchi e le mani che accarezzano l’adorato barboncino (quello che i suoi vicini battezzarono “il giovane Schopenhauer”).
Tanti tic e debolezze lo rendono un maestro ideale, simpatico perfino. E poi… il fatto di leggere i suoi libri anziché sorbirlo da vivo, ci aiuta a stringere un’intimità che, normalmente, allievo e docente nemmeno si sognano.
Ogni notte Schopenhauer si prende la briga di venire nella mia stanza, sedere sull’orlo del letto e sussurrarmi nell’orecchio “wille zum leben, wille zum leben, wille etc.”
Gliene sono infinitamente grato. Sapere che esiste qualcosa in grado di soggiogare l’intelletto (e sapere che non l’abbiamo inventato noi) è ottima cosa. Specie se in tal modo abbiamo la garanzia di poter tribolare e vivere, ragionare e amare, peccare e pregare in perfetta tranquillità. L’istinto di autoconservazione deriva da Dio e ci lega a lui. Voler dimostrare la ragionevolezza dell’esistenza di Dio quando si ha a disposizione il passepartout della “wille zum leben” è sintomo di una profonda vocazione al martirio. Trasformare la conoscenza in sofferenza… che assurdità.
Pessimista o misantropo finché si vuole, ma non un egoista! E nemmeno una vittima! Schopenhauer ha reso la sofferenza un mezzo della conoscenza, non basta? E poi lo so, in cuor suo si è fatto delle grasse risate quando Parerga e paralipomena è arrivato in vetta alle classifiche dei libri più venduti dei suoi tempi.

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