Dipendenze

Manuale di Epitteto, in greco Enkheirídion Epiktḗtou, cioè, alla lettera, ciò che si tiene in mano, manuale appunto, di Epitteto. Non c’è nemmeno bisogno di aggiungere τό βιβλίον, è ovvio che si tratta di un libro. E l’assenza di questa parola, τό βιβλίον, mi sembra, sgrava il manuale di tutta una componente “dotta” e lo aiuta a rimanere quel che è, un semplice oggetto portatile, che può tornare utile in qualunque momento ed è meglio avere sotto mano. In qualunque momento, infatti, può succedere di essere in una situazione nella quale, per trovare il capo e la coda, e agire di conseguenza, è importante avere un manuale da consultare. Apri, leggi la prima frase, non due tre capitoli – lunghi, contorti, pieni di astrazioni – no, la prima frase e tutto sembra farsi chiaro: “Tra le cose che esistono, le une dipendono da noi, le altre non dipendono da noi”. E poi via, una serie di esempi su cosa dipende da noi e cosa non dipende da noi.

A un certo punto, al capitolo 52, Epitteto rivela come è costruito il manuale, come dovrebbe essere costruito ogni manuale di filosofia, come – in fondo – dovrebbe agire e pensare il filosofo: applicare dei principi, dimostrarli, analizzarli. L’analisi, però, è necessaria perché c’è una dimostrazione e la dimostrazione è necessaria perché si applicano dei principi. Quindi bisogna cominciare dall’applicazione dei principi, spenderci molto tempo, più tempo di quanto richiedano dimostrazione e analisi. Il manuale fa proprio questo, tratta dell’applicazione dei principi. Di un principio in particolare: distingui ciò che dipende da te da ciò che non dipende da te.

Dopodiché hai già in mano il segreto della tranquillità d’animo (o, se vogliamo, della felicità): non confondere le cose, cioè non pensare che quello che non dipende da te possa invece dipendere da te. Perché tutto quello che non dipende da te, dice in sostanza Epitteto, potrebbe andar male e, ad essere onesti, quasi sicuramente ci andrà.

Se ti piace una pentola, di’ a te stesso: ‘mi piace una pentola’. Così se essa si rompe non ne sarai turbato”. Se abbracci tuo figlio o tua moglie di’ a te stesso: ‘abbraccio un essere umano’. Se muore non ne sarai turbato”.

Insomma bisogna prepararsi al peggio pensando che anche il peggio, comunque, non dipende da te. E il peggio poi, ed è qui il bello del manuale, è ovunque, è sempre, è nel grande ma anche nel minimo, cioè nella pentola che si rompe; nelle molestie dei bagni pubblici: “la gente che ti spruzza, ti spinge, ti insulta, ti deruba”; nelle beghe domestiche: “un po’ di olio cola via, ti rubano un po’ di vino”; negli eventi pubblici: “il piatto di portata che gira tra gli ospiti è arrivato a te” ma non fai in tempo a servirti che subito si allontana. Ecco, tutte queste sfortune, che sono poi minime, sono come le grandi disgrazie, la morte del figlio o della moglie, ma siccome non dipendono da te, sono un po’ la stessa cosa.

Cioè insomma a Epitteto, che oltre a essere uno schiavo era anche zoppo, o almeno così sembra, il mondo doveva sembrare un posto alquanto brutto, ostile, ma in questa visione pessimista, diciamo, è tutto il suo ottimismo. Tanto da voler essere un filoso, pur sapendo che gli altri rideranno di lui e diranno: “Dove ha preso questo sopracciglio arrogante?”, anche se lui cerca in tutti i modi di non essere arrogante. Perché, secondo Epitteto, quello del filosofo non è un mestiere che porta grandi vantaggi. Il filosofo si prende cura del padre e del fratello ma quasi sempre il padre è un cattivo padre e il fratello gli fa dei torti.

E quindi Epitteto dà dei consigli per diventare filosofi, cioè – andando al succo – per essere persone che sanno distinguere ciò che dipende da loro e ciò che non dipende da loro. E anche lì, sono consigli pratici, su situazioni piuttosto banali: “Di’ soltanto le cose necessarie e in poche parole; raramente, quando la situazione lo richiede, ci metteremo a parlare, ma non di cose senza importanza, non di combattimenti di gladiatori, corse di cavalli, atleti, cibi o bevande”. Cioè, insomma, è meglio se stai zitto.

Ancora: “Quando vai da qualcuno dei potenti, immaginati prima che non lo troverai in casa, che non sarai ricevuto da lui, che ti sbatteranno la porta in faccia, che egli non si occuperò di te”.

E non è finita: “Come durante una passeggiata fai attenzione a non camminare su un chiodo o a non storcerti il piede, allo stesso modo fa’ attenzione a non nuocere al principio direttivo che è tuo”. In questo caso, è probabile, il fatto di essere zoppo influenza Epitteto e gli fa immaginare piccole disgrazie anche in una semplice camminata. Figurarsi poi nei Giochi Olimpici. E infatti: “Poi devi presentarti alla gara – dice – talvolta slogarti una mano, storcerti un piede, ingoiare molta polvere, talvolta essere frustato e, oltre a tutto ciò, puoi essere sconfitto”.

Eppure è in questo mondo, dove tutto quello che fai può andare per il verso sbagliato, e quasi sicuramente ci andrà, che si può essere felici. Anzi, è proprio perché il mondo è fatto così, fatto da cose che non dipendono da noi, che si può essere felici. E in tutto questo pessimismo, vien da pensare, c’è una bella dose di ottimismo. Un ottimismo che i filosofi come Socrate mantengono fino alla fine. Tant’è che il manuale si conclude con questa massima: “Anito e Meleto – cioè gli accusatori di Socrate – possono mandarmi a morte, ma non nuocermi”.

Mauro Orletti

[Manuale di Epitteto, a cura di Pierre Hadot, Einaudi 2006]

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