La digestione

Cugina Filomena è convinta che i mali del mondo finiscano in qualche modo nella gola di nonno Osvaldo. Lo pensa perché se ci si avvicina alla bocca spalancata di nonno Osvaldo, quando poltrisce con la pancia gonfia in su, dopo una mangiata delle sue, non solo si possono ammirare certi prodigi dell’odontoiatria degli anni passati fatti di materiali diversi sovrapposti fra loro che ci sembrano piccoli ragnetti di piombo e oro rintanati nel loro buco tana, ma, rimanendo in silenzio, e avvicinando l’orecchio senza turbarlo, si possono distinguere anche dei rumori caratteristici provenire proprio dalle profondità della sua gola. Sono urla, lamenti, piagnistei, un inferno o un asilo nido, è difficile stabilirlo. Le chiediamo allora il perché mai i mali del mondo debbano andare a finire nella bocca di nonno Osvaldo e non in un’altra, “In quella del prete don Vicienzo?”, per fare un esempio. “Don ViNcenzo”, corregge cugina Filomena, che è diplomata in ragioneria, è maggiorenne e pure maggiorata, prosperosa come una statuina preistorica, anche se ne ha vergogna, ed è forse anche un po’ innamorata di don Vicienzo, nonostante sia mezza fidanzata con il tale che suona ingessato l’organo in chiesa e assomiglia a una volpe impiallacciata. In fondo, le si fa notare che nonno Osvaldo non s’è mai distinto per delle buone azioni e in paese circolano voci tutt’altro che edificanti sul suo conto.

Intanto vengono su dei cori, mentre bisbigliamo accanto a nonno Osvaldo, che ci sembra di stare allo stadio o di ascoltare una radiolina sintonizzata sulle partite di campionato quando c’è lo sciopero dei radiogiornalisti. “Questi arrivano dal ventre molle”, “Sì, è vero, sono i tifosi del Milan e dell’Inter messi insieme”, ci piace pensare. Ecco un boato: “Qualcuno deve aver fatto gol!”, tanto che nonno Osvaldo si agita per un attimo e comincia ad avere le convulsioni epilettiche, le stesse che aveva durante gli ultimi mondiali di calcio. Cugina FIlomena ci zittisce, “è la digestione”, dice; lei è invece convinta che dalla trachea vengano su delle suppliche, cioè secondo la sua convinzione sarebbero persone che chiedono perdono, che pregano e cantano, e con la sua voce matura, un po’ rauca, intona un ritornello di una canzonetta della messa e si convince che su quel baccano indistinto ci calzi a pennello.

Ma non convince affatto noialtri che ogni tanto sentiamo qualcuno bestemmiare, “Seh, altroché le preghiere, hai sentito?”, glielo si fa notare fra le risa, e allora cugina Filomena s’imbarazza e scappa in bagno per la vergogna, portandosi dietro quei bagagli morbidi fissati al petto che la condannano alla goffaggine e ad avere l’accenno di una piccola curva sulla linea della schiena. 

Noi in genere restiamo là ancora per un po’ ad ascoltare nonno Osvaldo che non fa un buon odore; poggiamo le orecchie sulla enorme pancia, che si gonfia minuto dopo minuto, da cui possiamo sentire i rumori che appartengono a una metropoli; e gli lanciamo delle molliche di pane nella bocca, per quietare le bestie affamate di cui sentiamo arrivare le peggiori maledizioni.

Passiamo un paio di minuti così, fin tanto che ci sembra una cosa normale, che anzi diventa noiosa, e fino a quando sopraggiunge un altro richiamo ancora, di tipo ormonale, che si propaga nello spazio e attraversa i muri, e che proviene da nostra cugina Filomena, che è una calamita per i maschi.

E di corsa, a turno, prima che sia troppo tardi, ci andiamo a mettere in coda dietro la porta del bagno per guardarla dal buchino della serratura mentre si sistema la lunga coda dei capelli e il grosso reggipetto bianco davanti allo specchio.   

Francesco Marsibilio

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