I girasoli

All’alba di certi giorni di fine estate, passeggiando per campi, se si guarda ai girasoli si possono trovare delle monache rinsecchite. Queste monache sono venute al mondo su dal terreno nottetempo. Con la luna piena, libera di risplendere, si rizzano i corpi nudi, asciutti ed esili come manici di scopa, di donne dai cappelli corti, tagliati approssimativamente, e con i baffetti morbidi attorno alle labbra. Non c’è dubbio che siano monache, perché hanno le mani conserte, il capo chino, e sembrano madonnine sputate. Si crede che il loro scopo sia quello di proteggere i raccolti, e invece hanno l’effetto contrario, visto che attirano orde di giovani in pubertà, che s’incantano a vedere il pelame delle ascelle, e quello del pube, che il vento agita lievemente. Qualcheduno si masturba, eccitato alla prima vista delle nudità, ma sono i primi innamoramenti, velocissimi, senza vizio, che svaniscono subito, così che lo stesso, esausto, dopo si rifocilla spensierato razziando i primi fichi sugli alberi. Ecco perché i contadini non le tollerano, queste monache dei girasoli, e con una roncola s’impuntano di doverle a tutti i costi falciare alla radice nelle loro buche.

Ma al mattino se si guarda bene restano delle monache superstiti, tormentate da questo destino inspiegabile, che si confondono con i girasoli, e si riconoscono perché gli uccellacci dei campi ci vanno sopra a beccar le loro teste.

Francesco Marsibilio

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