E così, proseguì il maestro, si lascia evaporare la sostanza in un recipiente, cautela prego, anche guardare può essere pericoloso, e si aggiunge un denso infuso di foglie. E questo – e porse a Humboldt la scodellina d’argilla – è il più potente veleno di questo e dell’altro mondo, è in grado di uccidere perfino gli angeli!
Humboldt chiese se si poteva bere.
Si sparge sulle frecce, disse il maestro. Nessuno finora ha mai provato a berlo. Non siamo mica pazzi.
Ma gli animali uccisi con quel veleno potevano essere mangiati subito?
Sì, disse il maestro. Era proprio quel che si prefiggevano con l’uso del curaro.
Humboldt si osservò l’indice. Poi lo infilò nel recipiente e lo leccò.
Il maestro urlò.
Humboldt disse che non avrebbe dovuto preoccuparsi. Il suo dito era sano, così come la sua cavità orale. Se non si hanno ferite, il preparato dovrebbe essere assimilabile. La sostanza andava studiata, dunque gli toccava rischiare. Scusatemi, mi sento un po’ debole, disse e cadde in ginocchio e per un po’ rimase seduto a terra. Si accarezzò la fronte e canticchiò. Poi si rialzò con cautela e comprò tutte le provviste del maestro.
[Daniel Kehlmann, La misura del mondo, Feltrinelli 2019]