Povero Gedeone, che da bambino tutti a dirgli che era bellissimo, pizzicargli le guance, baciarlo, a regalargli mille, duemila lire, e soltanto per quel sorrisetto riuscito come un miracolo. E lo era, eccome se lo era, bellissimo. Povero Gedeone, che era addirittura finito su uno, o forse erano due, cartelloni di quei cioccolatini al latte dello stabilimento provinciale. Povero Gedeone che poi però sui quattordici anni, e prima le cicatrici e dopo le proporzioni, è diventato brutto; che infatti ha avuto poche ragazze e una sola donna, una parente alla lontana, tutta casa e chiesa, e quando ormai lui era uomo adulto; e che poveraccio, disgraziato come pochi, gli è andata sempre peggio, la zoppia, le calvizie, la paralisi facciale; e sui trentacinque s’era così imbruttito che la depressione gli restituiva addirittura un po’ di fascino. Povero Gedeone, passa altro tempo e tutte a lui, ci si è messa pure la malattia, il dolore e le operazioni, che niente da fare l’hanno asciugato nel fisico, scavato in volto, dove del sorriso non resta che un ghigno appena; che alla fine s’è preso una badante bielorussa, che l’ha scelta in cartolina e le ha intestato la proprietà della casa in campagna per convincerla a restare, sennò via, lo lasciava. Povero Gedeone, che è nato bellissimo ed è diventato bruttissimo, che vive con la bielorussa nella casa di campagna, e che se per strada lo fermano, stanno lì i minuti, anziché una frase di incoraggiamento, a ricordargli cos’era quel bambino dei cioccolatini al latte. Infami! Che almeno lui può vantare d’essere finito anche su una di quelle fotografie angoscianti sui pacchetti di sigarette.
