Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde

Prefazione inedita a Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson

Qui non si tratta di buono o cattivo, piuttosto se uno è brutto o bello. Se uno è brutto, è brutto: c’è da rassegnarsi a esser brutto; mentre se uno è bello, è bello: buon per lui che lo sia. Ma che uno sia brutto o che sia bello, be’, allora, in ogni caso, c’è da considerarlo fortunato: per il dono ricevuto dell’esclusività d’essere con continuità o l’uno o l’altro.
Il problema, credo, nasce quando uno è mezz’ e mezzo: per metà brutto e per metà bello, o suppergiù nelle diverse proporzioni. Allora succede che preso quest’uno a mo’ di esempio, per lui la disgrazia sarà di vivere una specie di separazione interiore. Come sono bello… penserà di sé, appena uscito dal barbiere, magari sotto la giusta luce, e col suo nuovo soprabito, e la volta dopo, invece, cadaverico in volto, in abiti da casa e nella penombra: Come sono brutto, dirà di sé. E così a turno, fino allo sfinimento, fino all’innescamento di atteggiamenti collerici verso sé, e gli altri.
E non è forse vero che ci siamo ritrovati in tanti, in questa situazione di giudizio? Diciamo così: consapevoli d’esser un giorno, o un’ora, perfino un attimo, l’uno, bello, e poi, quello dopo, l’altro, quello brutto?

Non so a voi, ma a me è già capitato, al mattino, appena sveglio, magari dopo un incubo, di specchiarmi e non riconoscermi per via della gobba accentuata, il ciuffo scompigliato, la pelle del viso rattrappita, e del contorno occhi nemmeno a parlarne. In queste condizioni m’è già capitato, giuro, di farmi prendere un colpo e di inveire contro il tale nello specchio che in prima battuta non credo d’essere io. E ciò che mi stupisce ancor di più, in quegli attimi di sbigottimento, è il fatto di esprimermi con un vocabolario osceno, al pari di uno scaricatore di porto ubriaco nella peggiore taverna di Bournemouth. Ecco, per dire, cosa mi sono detto l’ultima volta passando davanti allo specchio del bagno:

Ehi! Tu, cane!
Ce l’hai con me?!
Cosa, dici a me?!… dici a me?!
Certo che dici a me, non ci sono che io qui.
Vaffanculo!
Affanculo io?! Vacci tu!

E dopo, come se non bastasse la lingua sciolta, l’ho colpito con un bastone, crepando lo specchio proprio al centro… fanno 80 sterline di danno alla volta, e siamo alla terza solo questo mese. Se inizio la giornata ancora con questa cera e con questo piglio violento tocca vedere lo psichiatra, mi sa.
Eppur mi viene il dubbio, anzi ne ho la ferma convinzione, che questo dramma di sco-prirsi ad un tratto così brutti non riguardi soltanto me, ma che sia piuttosto un male dei nostri tempi moderni.
Non è forse vero che vi trovate anche voi sempre più spesso a commentare con gli amici di questioni di estetica? E di come andrebbero pettinati i baffi, e sfoltite le sopracciglia, e puliti i denti, e ammorbidita la pelle, e impostate le spalle, e piegate le maniche, e tenuta la pipa, e via dicendo… be’, ho la chiara impressione che siano tutte becere mistificazioni per nascondere un mostro.
Troppi specchi si vedono in giro, ne ho concluso, ritrovandomi, non a caso, proprio da-vanti a uno specchio, a esaminarmi il naso (ah! che rabbia, ne avrei desiderato uno più piccolo!). Troppi specchi che prima non avevamo e che ora riempiono i luoghi che frequentiamo e le nostre case, come un tempo c’avevano soltanto quegli psicopatici degli aristocratici. Lo dice anche il mercato, me ne sono interessato sapete, non parlo a caso: da metà secolo c’è stato il boom, e oggi anche l’ultimo dei borghesucci si può permettere uno specchio in cui guardarsi accuratamente.
Esci di casa imbellettato per andare al pub all’angolo, e basta una folata di vento che ti rispecchi nel salone e ti senti nuovamente impresentabile e t’inventi una scusa per tornartene a casa. Lo specchio è un arnese che mannaggia chi se lo doveva aspettare avrebbe rovinato le relazioni sociali!
Da questo secolo ne usciremo come sdoppiati, entreremo nel XX secolo con un conflitto interiore, ne sono convinto: uno è in sé quello bello, quantomeno abituato a credersi soltanto quello, ma poi ti arriva lo specchio in casa, e al bagno, e in salotto, e in camera da letto, dappertutto, col suo meschino riflesso, che a sua volta s’è tirato dietro la cattiva riflessione, ovvero d’avere in sé anche uno brutto: coi punti neri, e le macchie della pelle, e la gobba, e i denti storti, e il corpo piccolo, che non calza più nulla, che tiene un passo stanco e scomposto. Sfido chiunque a non prendersela col mondo intero, a vedersi così mostruosi!
Ho preso molto seriamente la questione della duplice figura in fatto di estetica che ci sto scrivendo un romanzetto senza tante pretese: c’è un personaggio con la faccia pulita, distinto, elegante, amabile, e conoscerete allora il dr. Jekyll, in apparenza un tale come me, come voi, tormentato, quando ci va col pensiero, da quel riflesso bruttarello nascosto negli specchi, senza tono muscolare, sciatto e miserabile, che certe volte lo mette di cattivo umore, tanto che farebbe male a un bambino per invidia di beltà, e che io ho chiamato il signor Hyde, tanto per far lo spiritoso.
Ma per chi fa il mestiere dello scrittore, sapete, quando si vuol dire una cosa è fonda-mentale dirle con un’altra veste.
Ora vogliate scusarmi, magari finirò il discorso un’altra volta, perché devo controllarmi una cosa… è una bollicina proprio sulla punta del naso… che mi dà fastidio… mi fa una rabbia, prima non l’avevo… me ne spunta una nuova al giorno… porto con me il bastone, casomai “quello” m’insultasse ancora…

Robert Louis Stevenson

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