Prefazione inedita a L’Allegria di Giuseppe Ungaretti
Penso con imbarazzo a chi, dopo aver concluso la lettura di questa mia nota introduttiva, si appresterà a girare pagina iniziando a leggere il libro che ha fra le mani.
Girando pagina, il volenteroso lettore si imbatterà in spiacevoli sorprese che sarebbe meglio evitargli. Ci provo con questo preliminare chiarimento. A evitare le spiacevoli sorprese. O a prevenirle. O a chiedere perdono. Io, che ne sono l’autore, non so se devo consigliarvi di procedere oltre.
Chi ha comprato questo libro legittimamente aspettandosi, in base al titolo, versi gioiosi, sprizzanti contentezza, è stato tratto in inganno.
D’altronde, basta solo dare un’occhiata ai titoli delle poesie. Come può parlare di cose gioiose una poesia intitolata Agonia? E quell’altra intitolata Noia? Ce ne sarebbe una che si intitola Veglia, e forse almeno in questa, penserà lo sprovveduto lettore, un pizzico di buonumore potrebbe starci; magari vi si narra di spericolate scorrerie notturne, penserà lo sprovveduto, veglie di travolgente lussuria e di bagordi, interminabili cene a base di champagne. Niente di più sbagliato! La veglia è una veglia funebre, con tanto di cadavere massacrato, illuminato da un livido plenilunio.
Il fatto è che in questo libro si parla di guerra. E la guerra non è, non può essere, cosa allegra, per quanto certi personaggi, i Futuristi per esempio, ne parlino allegramente. Stando, come è capitato a me, in trincea, vedendo quelle scene raccapriccianti, cadaveri dappertutto, bocche digrignate, muri ridotti a brandelli, non ci vuole molto a capire che della guerra non si può parlare gioiosamente. Eppure tanti lo hanno fatto, lo fanno, mica solo quegli scalmanati dei Futuristi. Anche quell’altro scalmanato, quell’ometto, che poi tutti hanno chiamato Duce, la esaltava come se fosse un bel derby calcistico. Quell’ometto là, in effetti, io l’ho anche frequentato, scrivevo sui suoi giornali e quando alla spicciolata, e con stupore di molti, è diventato Capo del Governo, forse per ricompensarmi, ha scritto una strampalata prefazione a un mio libretto, pubblicato nel 1923 dal gentilissimo Ettore Serra (che allora, dopo essersi improvvisato editore, amministrava nel contempo una società di palombari). In quella prefazione, per la verità, l’ometto non dice quasi nulla, si limita a stupirsi del fatto che io, pur essendo in quegli anni postbellici diventato un burocrate, mi occupassi di poesia.
Tanti insomma prendevano la guerra come una cosa divertente. Erano bubbole, ma gli uomini a volte si illudono e si mettono in fila dietro alle bubbole. Anch’io mi misi in fila, mi arruolai volontario. Partii e vidi. Vidi cose terribili. Perciò non amo la guerra.
Le poesie che trovate in questo libro raccontano cose tristi. Come si può parlare allegramente di un orrore? Bisognerebbe essere proprio fuori di testa!
E allora perché quel titolo sciagurato, fasullo, ingannevole? Perché spiaccicarlo in copertina a sovrastare l’immagine di un’ignara e leggiadra fanciulla?
È un titolo francamente disonesto, del tutto contrastante col contenuto dell’opera.
Il fatto è che in tipografia è stato commesso un gravissimo errore. Non so come possa essere successo, qualcuno deve aver manomesso i cliché, forse per danneggiarmi. Ma ormai le copertine sono andate in stampa e l’editore non vuole saperne di buttarle via, perciò per limitare il danno non mi resta che mettere in guardia i lettori con questa breve avvertenza.
“L’Allergia” avrebbe dovuto essere il titolo, non L’Allegria!
Perché io, se c’è una cosa a cui sono allergico, è la guerra.
Giuseppe Ungaretti