In un articolo comparso sul Sole24Ore del 18 dicembre 2011 (“Il milleunesimo garibaldino”), poi finito nella stupenda raccolta “Il pensatore solitario” (Guanda 2015), Ermanno Cavazzoni racconta le imprese del milleunesimo Garibaldino, un genovese che – stando al racconto di Cesare Abba – si sarebbe gettato in mare poco dopo l’inizio della spedizione. E non una, ben due volte: il 6 maggio e ancora il 10 maggio 1860. Anche Bandi, ufficiale garibaldino, racconta la medesima vicenda e aggiunge che l’uomo non aveva il cervello completamente a posto. Lo stesso Garibaldi, nelle sue memorie, parla di un uomo fra i mille «che aveva la mania di volersi annegare».
Ora Cavazzoni, il cui articolo viene pubblicato nel dicembre 2011, quando i festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sono già passati («finalmente l’anniversario è finito e tutti si sono sfogati»), azzarda un’ipotesi affascinante: l’uomo non sarebbe un pazzo, ma un soldato che – di fronte all’approssimazione con cui è stata organizzata la spedizione (mancano perfino armi, munizioni e carbone) – decide razionalmente di sottrarsi a quella follia. Follia iniziata, fa notare Cavazzoni, con un giro di piccole truffe… da cui la mancanza di armi, munizioni e carbone.
Sì perché la Storia – a tutto beneficio di celebrazioni come quella per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia – ha bisogno di eroi di primo piano, come Garibaldi, o di secondo piano, come il corpo indistinto dei Mille, mentre dimentica i fatti minori e i personaggi normali, quelli sacrificabili.
Se foste interessati a riscoprire quei fatti e quei personaggi, c’è un libro, pubblicato da Editrice Zona nel 2015, che risulterà particolarmente utile: il documentatissimo “Uno dei Mille”, di Battista Reinero.
Leggendone la prima parte (intitolata “La spedizione dei Mille”) avrete a che fare con circostanze sconosciute ai più e, appunto, sacrificate dalla Storia (quella con la S maiuscola). Ad esempio l’indecisione di Garibaldi sul teatro del suo intervento: Nizza o la Sicilia?
Ad esempio le parole sprezzanti del generale nei confronti di Cavour: «Quell’uomo lo sapete ha venduto la mia patria. Povera Nizza! Ebbene? Nonostante ciò, tratto con lui, da buon amico e gli chiedo un migliaio di fucili per andare a farci ammazzare allegramente. Mi pare di non chiedere molto a costui, eh?».
Per non parlare della questione dei fucili che sì arrivarono ma, una volta disimballati, si rivelarono moschetti a canna liscia, per giunta arrugginiti e quindi utili solo come porta-baionetta. «Nient’altro che ferrovecchio!» per usare l’espressione dello stesso Garibaldi.
Nella ricognizione di Reinero perfino i piroscafi utilizzati per la spedizione (il Lombardo e il Piemonte) raccontano una storia inattesa. Furono indennizzati dallo stato italiano per un valore notevolmente superiore a quello reale. È probabile, fra l’altro, che il conto venne saldato dai napoletani e, in parte, dai siciliani (da cui il sospetto di un doppio pagamento). Ma non era ancora finita se è vero che toccò a Bixio, con la forza, farli uscire dal porto di Genova e guidarli fino a Quarto.
Così la spedizione ebbe inizio. A Camogli si fecero i primi rifornimenti e venne fuori che, a parte la questione del «ferrovecchio», mancava anche la polvere da sparo.
Naturalmente l’approdo a Marsala merita un accenno, se non altro per via dell’articolo comparso sul Giornale Ufficiale del Regno delle Due Sicilie il 13 maggio 1860: «Ier l’altro 11 del corrente all’ora 1.30 p.m. due vapori di commercio genovesi denominati il Piemonte e il Lombardo, approdarono in Marsala, e ivi, principiavano a disbarcare una mano di qualche centinaio di filibustieri. Non tardarono i due R.R. piroscafi Capri e Stromboli, che trovavasi incrociando su quelle coste, a principiare i loro fuochi sui due detti legni che commettevano l’atto più manifesto di pirateria, e dal fuoco de’ mentovati due piroscafi napolitani risultarono la morte di molti filibustieri, la calata a fondo del Lombardo, che era il più grande dei due vapori genovesi, e la cattura dell’altro vapore il Piemonte. Le reali truppe stanziate in quella provincia, son già mosse per circondare e far prigionieri quella gente. Le notizie telegrafiche di oggi non ci arrecano novità riguardo a Palermo e alle altre provincie della Sicilia». Un articolo che la dice lunga sulla radici della nostrana tendenza alla disinformazione.
L’esito stesso della spedizione, senza nulla togliere al valore di tutti quelli che ne furono protagonisti, fu il risultato di una somma incredibile di inettitudine militare (dell’esercito borbonico, i cui ufficiali più giovani avevano ottenuto il loro brevetto «pagando o grazie a protezioni»), innumerevoli compromessi (la proclamazione del governo provvisorio a Napoli, ad esempio, fu anche il frutto di accordi con la malavita organizzata) e strane partire di denaro (con legge del 4 agosto 1861 il neonato Regno d’Italia iscrisse nel Gran Libro del Debito Pubblico un totale di lire 111.563.345 di cui oltre l’85% a carico degli Stati Sardi e del Regno delle Due Sicilie, il restante suddiviso fra Toscana, Lombardia, Modena, Parma e Bologna).
La consegna delle onorificenze fu l’ultimo atto di questa incredibile vicenda: alcune medaglie decretate ai Mille dal Senato di Palermo vennero dispensate a chi non ne aveva diritto, altre negate a chi avrebbe potuto legittimamente rivendicarle. Intervennero commissioni varie e perfino un giurì d’onore, i cui risultati furono una legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia il 12 novembre 1878.
Basandosi su quella pubblicazione Battista Reinero, nella seconda parte del libro (intitolata “I Mille”), ha compilato un meraviglioso repertorio alfabetico, molto più di un semplice elenco di nomi: una racconto alternativo, probabilmente il più attendibile che vi capiterà di leggere. Il racconto di falegnami che lasciano moglie, tre figli e una bottega e poi, tornati a casa, restano senza lavoro; di soldati sconosciuti e medaglie non ritirate; di sergenti sopravvissuti anche all’ultimo scontro e poi morti, in solitudine, in manicomio; di carrettieri che fecero la campagna del ‘48-‘49 contro l’Impero Austrico, la campagna del ’55 in Crimea, la campagna del ’60 contro il Regno delle due Sicilie, la campagna garibaldina nelle Americhe e alla fine vennero congedati per una doppia ernia inguinale; di albergatori feriti in battaglia che convissero con vedove (senza sposarle, per non perdere la pensione), che finirono nei guai per piccole truffe e affitti non pagati; di sottotenenti di vascello che ritirarono la medaglia e dopo, per motivi sconosciuti, si spararono.
Difficile dire quale, fra questi, aveva la mania di volersi annegare. Tutti, comunque, meriterebbero di esseri ricordati: magari nel 154° anniversario dell’Unità d’Italia, quello che nessuno vuol festeggiare.
Mauro Orletti
[Battista Reinero, Uno dei Mille, Editrice Zona 2015]