La visuale del marciapiede

Ho conosciuto Ugo Cornia durante gli incontri che si facevano a Reggio Emilia per una rivista che si chiamava “L’Accalappiacani”. Sul numero zero di questa rivista c’era un articolo intitolato “Non possiamo non dirci cani” che, in un certo senso, era anche il manifesto della rivista. Ci sarebbe piaciuto, infatti, assumere lo sguardo rasoterra del cane, cioè lo sguardo di chi non cerca di essere super partes, di chi osserva il mondo a livello del marciapiede, come il cane appunto.
Dico questo perché “Animali (topi gatti cani e mia sorella)” è un’opera sorprendente, il risultato perfetto di quello sguardo. Perfetto perché nella volontà di abbassare la prospettiva, scegliere un punto di vista diverso, incrociare lo sguardo con piccioni col vaiolo, gatte nevrasteniche e cani psicolabili, non c’è traccia di maniera. Non si tratta di un vezzo, insomma, ma della naturale conseguenza del proprio modo di stare al mondo.
Ecco, se posso usare un parolone, nella weltanschauung di Cornia rientrano come dato di fatto anche le convivenze difficili, per esempio quelle con i topi, ma anche quelle con i cani (specie se psicolabili), che poi diventano distratta constatazione della reciproca esistenza.
E questo atteggiamento, se fa parte di quella weltanschaung di cui si diceva prima, non muterà di fronte ai mali estremi. E nemmeno di fronte agli estremi rimedi (come ad esempio una derattizzazione).
Nella prospettiva dal basso, infatti, la morte entra molto semplicemente a far parte di queste originali forme di convivenza. Cos’è la derattizzazione, in fondo, se non uno sterminio di massa? Questo non impedisce all’autore, nel sistemare veleni o trappole, di riflettere sulle sue vittime, sulla loro intelligenza, sul loro essere i padroni delle nostre case o, se non i padroni, animali che hanno deciso di condividerle senza invito: «Se uno ci pensa, e io ci ho pensato tante volte, per come è andata la nostra storia degli ultimi diecimila anni, come mai i topi nessuno ha mai cercato di addomesticarli, mentre cani e gatti sì? E indubbiamente i topi ci assomigliano di più sia dei gatti sia dei cani. Perché è già da varie migliaia di anni che, anche se nessuno li ha mai cercati, i topi abitano con noi».
Queste riflessioni, è bene dirlo, non sfociano mai nel tentativo di umanizzare gli animali. I topi restano topi, i gatti restano gatti. Sviluppare abitudini singolari, per esempio il gusto per una doccia all’inpiedi (nel caso dei topi) oppure manifestare certe nevrosi, per esempio dopo la sterilizzazione (nel caso dei gatti), equivale a rendersi riconoscibili, a trovare il proprio posto all’interno della casa e, quindi, della famiglia.
Con i cani il discorso è un po’ diverso. Il cane è una spugna e quindi può anche succedere che esprima il peggio condensato del suo padrone.
«…e infatti il cane è un animale la cui immagine per metà è una bella immagine, di cane compagno e salvatore; ma l’altra metà, almeno per me, è un’immagine decisamente sputtanata, proprio di un animale microcefalo e maniaco, orrendo servo della merda più merda che sia mai comparsa sulla faccia della terra (merda umana ovviamente), per di più con quel suo modo d’essere totalmente spugnoso e incapace in tutta la sua vita di concepire un’unica idea sua».
Infatti Cornia, almeno da una certa età in avanti, riesce a tollerare solo bastardi e cani da caccia. Perché?
Perché se li molli per un secondo è capace che non li rivedi più. Devono andare dietro ai loro invasamenti e nulla può distoglierli, nulla può convincerli a tirar su il naso, a cambiare prospettiva, ad abbandonare la visuale del marciapiede.

Mauro Orletti

[Ugo Cornia, Animali (topi gatti cani e mia sorella), Feltrinelli 2014]

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