Anche nella cittadina c’erano stramberie; si vedeva per le strade prevalere nelle donne un tipo fisico che a noi pareva etrusco spaccato, con gambe grandi e tozze, belle in un modo inelegante, ctoniche; gambe adatte a stare un po’ sottoterra emergendo dalla crosta solo tre quarti. Queste gambe comparivano spesso nelle strade; suggerivano per associazione una lussuria placida, pre-cristiana, senza altro senso di peccato che quello implicito nella condizione di avere organi erettili e mortali, e di essere fatti di cicli impulsivi. Stranamente comparivano sempre nello stesso modo, viste da dietro, fuse in maniera poderosa ma non armonica coi rialti della schiena, e spesso a un livello più alto o basso dell’osservatore, perché le strade erano in salita o in discesa. Le gonne a quel tempo scoprivano l’incavo dietro il ginocchio; la pelle era vagamente chiazzata di rossiccio; la carne pareva insaccata. Non dubitavo per un momento che le etrusche fossero fatte così; e sentivo quegli abissi di differenza che si sentono all’estero certe volte, quando i dati dei sensi, sfasati, si induriscono come ciottoli, e ci prende un piccolo panico al pensiero che anche questa accozzaglia di cose è mondo. Così anche lì, con le etrusche di Tarquinia, e le loro gambone.
[Luigi Meneghello, I piccoli maestri, BUR]