Tolstoj che si arrovellava per un’arte universale può essersi consolato: qualche cosa si è veramente fatto e si è fatto bene.
Topolino è una schietta, vivacissima e accettabile espressione di arte novecento. Il passato non conosceva alcunché di simile. Avete notato come le avventure grottesche e bizzarre di quel fiabesco personaggio sono sempre terribilmente complicate? Eppure tanta complicazione si riduce infine a una così limpida semplicità (ed è un miracolo) che sono proprio i piccoli spettatori a divertirsi senza reticenze. Ci sono ancora libri di fate per i fanciulli? Se non erro gran parte della letteratura romantica infantile è stata elegantemente sostituita da questi corti metraggi, da queste umoristiche tiritere di lazzi, di suoni e di ritmi. Topolino è il mondo dell’imprevisto. Una locomotiva mangia il carbone, una casa sputa dalle finestre i suoi inquilini, un asino vola colle orecchie, un piano balla sgangheratamente come una vecchia e muove i tasti che sono poi i denti di una inverosimile bocca.
Topolino è il trionfo del ritmo!
[Delio Tessa, Elogio di Disney in La bella Milano, Quodlibet 2013]