Incapaci di intendere e di volere

Se un giorno decidessimo di raccontare questo periodo, che è un periodo proprio strano, un periodo in cui c’è la crisi e ognuno la vive a modo suo, la crisi, e la percepisce a modo suo, e si comporta di conseguenza e dice cose che forse non c’entrano con la crisi ma che però, in un modo o nell’altro, nascono in un certo clima e quindi c’hanno un po’ la stessa aria, chissà che racconto verrebbe fuori. A giudicare da quello che si sente in giro, che è tutto un parlare di banche e di Europa, di recessione e di economia, di debito e di sviluppo, potrebbe anche essere un racconto noioso e un po’ triste, più noioso che triste, un racconto che si farebbe fatica a leggere e che non sembrerebbe vero, come non sembra vero tutto quello che si sente riguardo questa crisi, che pure c’è.
Oppure potrebbe venir fuori qualcosa di diverso, un racconto alla Dürrenmatt, la storia di Romolo Augusto, per esempio, che assiste indifferente alla crisi dell’Impero Romano d’Occidente, che più che una crisi è un vero sfacelo, e comunque, nonostante lo sfacelo, Romolo Augusto è più interessato alle sue galline che alla possibilità di cedere il trono al barbaro invasore. Fra l’altro in “Romolo il grande” di Dürrenmatt, anche Odoacre, ossia il barbaro invasore, c’ha una passione sfegatata per le galline, di modo che la passata grandezza dell’impero, un po’ a sorpresa, tramonta una volta per tutte per via di due personaggi così, un po’ svagati, che amano le galline, che sembrano del tutto fuori contesto, incapaci di intendere e volere al momento dei fatti e, proprio per questo, capaci di raccontare alla perfezione l’assurdità della situazione.
Chissà, potrebbe andar bene anche la storia di un garibaldino, ma un garibaldino un po’ sui generis, uno che magari non è nemmeno sbarcato a Marsala, uno di quelli che sbarcano quasi subito, a Porto Santo Stefano e da lì si inoltrano, via terra, in territorio papalino, in Abruzzo, per provocare un’insurrezione e distogliere l’attenzione dell’esercito borbonico dalle coste siciliane. Uno di quelli che poi si trovano in una brutta situazione, un po’ perché non conosce l’Abruzzo, un po’ perché non conosce Cavour e non sa che quella manovra lo mette in ansia, non sa che i francesi stanno con il papa e quindi, se le cose in Abruzzo vanno in un certo modo, finisce che si arrabbiano sul serio. Infatti Cavour manda i carabinieri e quindi poi il nostro garibaldino viene arrestato e non solo non arriva a Marsala, ma non viene nemmeno ricordato nella spedizione dei mille, che all’inizio sono 1162, poi alcuni, una sessantina, sbarcano a Porto Santo Stefano, altrettanti abbandonano l’impresa dopo aver capito che, alla fine della fiera, combatteranno sì per l’Italia, ma per l’Italia dei Savoia. E quindi in Sicilia arrivano poco più di mille e soltanto quelli vengono ricordati.
L’anno scorso, per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, qualcuno a Livorno c’ha provato a raccontare una storia diversa, un risorgimento diverso. Ha tappezzato la città con la foto di Giampaolo Cardosi, camicia rossa, la scritta: mille volte mille. Una bella intuizione perché a suo modo Cardosi è stato anche lui un garibaldino, un garibaldino sui generis, uno di quelli che non è mai arrivato Marsala, che è sbarcato quasi subito.
Nel ‘79 Cardosi era un vigile urbano, girava coi capelli lunghi e la barba folta. Divisa, capelli lunghi e barba folta. Poi venne condannato a 6 mesi di carcere e 400.000 lire di multa per furto pluriaggravato e questo perché si pensava che avesse rubato 2.000 lire più un tavolo e quattro sedie. Subito dopo la condanna il Comune di Livorno lo licenziò.
Poi, passati vent’anni, più o meno, fu assolto. A quel punto l’amministrazione gli offrì 300 mila euro per chiudere la vicenda, ma lui rifiutò. Disse che rivoleva la divisa. Invece no, la divisa non poteva riaverla. E nemmeno il suo lavoro. Finì che, senza lavoro e con 1.850 euro di debito, perse la casa. Gliela portarono via e però, quando si trattò di abbandonarla per davvero, un paio d’anni fa, piantò su un tale casino che finì di nuovo in tribunale. Lo accusarono di aver oltraggiato un finanziere e di averlo minacciato con un coltello. Ma venne assolto perché “incapace di intendere e di volere al momento dei fatti”. Però la casa, come la divisa, non poté riaverla. Insomma si ritrovò per la strada: pranzo e cena alla Caritas, notte in sala d’attesa del pronto soccorso.
Qualche mese fa lo convocano in questura per una denuncia a sua carico. La sede di Equitalia è stata imbrattata con delle frasi offensive in cui si dice che lì dentro ci son dei ladri. Lui ammette di aver imbrattato, ci mancherebbe: gli hanno messo all’asta la casa, per 1.850 euro, lo hanno sbattuto fuori, ecco, son dei ladri e bisogna dirlo. Comunque lui sa benissimo che non è solo colpa di Equitalia e infatti ha imbrattato altri muri della città con la scritta: ‘tribunale ladro’. Un po’ per uno.
Praticamente finisce così, questa storia: che l’altro giorno Giampaolo Cardosi muore. Ed io, ecco, quello che volevo dire è questo: che forse a Livorno, con quelle foto, pensavano di fare un racconto diverso dell’Unità d’Italia, invece, secondo me, incapaci di intendere e volere al momento dei fatti, hanno raccontato benissimo lo strano periodo che viviamo, e senza mai parlare di banche e di Europa, di debito e di sviluppo, senza nemmeno parlare di crisi, che pure c’è.

TOSCANA

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