Quando ci stavo io, nel 56, il Casino
funzionava ancora a Comiso vicino alla
Stazione Ferroviaria dove una volta vidi
uno spararsi in testa un colpo di pistola,
quel giorno proprio che mia madre mi
cercava come una pazza per tutto il paese
senza che mai mi trovava.
Sara la Patava ne era la maitresse, ch’era
di Chiaramonte; che poi dopo la legge Merlin
se n’andò a stare in campagna, alle Pezze,
col figlio deficiente.
Cosi chiusero le Case e per noi, crescendo,
non ci fu proprio nessuno da cui andare.
C’era la storia della Buccherese, detta la
“Sessantrè”, che dice lavorava ogni
tanto alla Pineta, ma io non l’ho mai vista;
e per la madre di Tuccio Gulino, la lattaia,
che dice faceva vedere il culo su richiesta,
in verità non ho mai visto neanche questo.
Mi toccò andare a Vittoria a sverginarmi
con la seicento “pane e pasta” di Antonello
Savasta, il panettiere. Fu tuttaltro che un
piacere: la mia puttana era stronza, volgare,
e mi trattò come una specie d’impotente,
almeno così quella volta mi parve di sembrare.
Non riuscii infatti neanche a terminare e me ne
tornai a casa da solo, deluso, a piedi, avvilito
e pergiunta sotto un temporale!