Il ponte Vecchio dei Cappuccini di padre Scopetta
col cortile d’edera del Liceo sospeso come sempre
sulla vallata di Santa Domenica, la piazzetta delle
scacce da un lato, il barbiere dove mi taglio i capelli
dall’altro – non so cosa ci sono tornato a fare in questa
città a me così straniera! – la lavasecco, il giornalaio
della Domenica Quiz, il tribunale passato il ponte, la
SIP, il negozio degli uccelli, delle fotocopie…
è nuvolo a Ragusa, sempre marzo, il tempo cambia
continuamente, un po’ sole un po’ vento, gli autobus
vicino alla Stazione, i fratelli Schembari per Chiaramonte,
Giamporcaro per Vittoria, ASTA, Etna Trasporti,
il bar Sicilia dove non mi conosce più nessuno, il
supermercato Saggea, la Stazione di Servizio,
l’Ospedale Civile, mio padre già morto, mia madre
sempre più vecchia, i miei fratelli adulti e sistemati,
il Magistrale dove andava una volta Daniela che
l’aspettavo per giorni interi davanti al cinema Ideal
all’angolo di Piazza Libertà solo per vederla passare
giusto un momento sotto l’Intendenza di Finanza,
tanto che ci facevo a casa io con le mie malinconie
le mie menate sul terrazzino delle tegole ammuffite
col serbatoio dell’acqua Eternit e le antenne e
i piccioni che mi fanno schifo, grigio il cielo sempre
sopra quel marzo mio torbido e solenne, magari
poi t’incontro qualcuno degli amici, si diventa
tre-quattro-cinque e insieme ci sediamo sul
muretto davanti al Trionfale coi piedi penzoloni
a guardare i passanti come nel film Accattone di
Pasolini, loro però sporchi sottoproletari ignoranti
d’una Roma periferica e affamata, noi studenti con
l’Università davanti e un futuro di vita e amori e
avventure forti e strafottenti, e donne sopratutto,
donne dalla pelle fervida come una preghiera e
come all’estate nuda…
ma li avrò mai ventanni porco Giuda!?