Qualunque tipo di suono

Scherzando con un amico una volta ho detto di voler scrivere un articolo su Sant’Anselmo e sulla sua azzardata dimostrazione (a priori) dell’esistenza di Dio attraverso l’argomentum ontologicum. Naturalmente non ho mai pensato di poter elaborare un ragionamento con cui confermare oppure smentire la tesi di Anselmo. Non ne sono all’altezza. Però, almeno a livello intuitivo, oso pensare che ci sia qualcosa di estremamente debole nell’affermazione per cui, se è possibile concepire un essere tale che non si possa concepire niente di più grande, e se poi è vero che un essere che non esiste nel mondo reale è – per questo stesso motivo – imperfetto, allora l’essere perfettissimo che abbiamo concepito deve per forza esistere (a meno di non cadere in una desolante contraddizione). Dio deve esistere.

L’argomentum ontologicum lo si può anche enunciare così: Dio è l’essere perfettissimo, cioè il compendio di tutte le qualità positive possibili; essendo l’esistenza una qualità positiva, Dio deve necessariamente esistere.

La dimostrazione, come si vede, è talmente elementare (ma non banale) che al contemporaneo di Anselmo sarà certamente balenato per la testa il seguente interrogativo: be’, ma com’è che non c’avevo pensato?

Solo che poi il contemporaneo di Anselmo, al quale le dimostrazioni a priori non sono mai piaciute perché, in un certo senso, tendono ad essere autopredicative, tendono cioè a presupporre ciò che invece dovrebbero dimostrare, il contemporaneo di Anselmo con un sforzo della mente piuttosto contenuto, riuscirà a pensare ad un essere il meno perfetto che esista, cioè un essere senza neppure una qualità positiva. Un essere che, dunque, non avrà nemmeno la qualità positiva dell’esistenza. Un essere che non esiste sebbene lui riesca a pensarlo.

Questa, ovviamente, non è un’obiezione dirimente, ci mancherebbe altro, ma lo spunto per affrontare un ragionamento che non so dove mi porta. Si tratta forse di uno sragionamento, alla maniera di quelli raccolti da Ugo Cornia nel piccolo libro Operette ipotetiche [Compagnia Extra Quodlibet 2010]. Uno di questi sragionamenti, fra l’altro, sembra fatto apposta per guidare questa scorribanda pseudo-filosofica. Perché comincia in una stanza, per la precisione dalla poltrona che in quella stanza si trova, e di lì evolve in un monologo che, se Anselmo d’Aosta si fosse trovato a passare nel racconto di Cornia, sarebbe certo terminato in un dialogo: “[…]sto leggendo un libro, e la mia stanza esiste perché la sto percependo chiaramente, poi mi telefona un amico se ci troviamo fra mezz’ora in Piazza Grande, per fare un giretto di un’ora, allora esco di casa, e mentre sono in Piazza Grande, casa mia, per tutta quell’ora che io sono stato fuori, potrebbe sparire, nessuno mi garantisce che non sparisca. Per esempio potrebbe esserci qualcuno (Dio?) che fa sparire casa mia per per un’ora, poi, quando io torno a casa, la rimette al suo posto, così a me sembra che casa mia esista di continuo, ma magari mentre io ero in centro casa mia era sparita. E questo qualcuno tra l’altro (secondo me soltanto Dio, se c’è, potrebbe avere un’organizzazione in grado di fare certe cose), mentre nessuno la percepisce potrebbe anche far sparire Piazza Grande”.

L’idea che, per qualche strana ragione nasce nella mente di Cornia, non è tanto diversa da quella che spinge uno studente di filosofia a porre la seguente domanda al compositore canadese R. Murray Schafer: “Qual è il suono di un albero che cade in un bosco quando non c’è nessuno ad ascoltarlo?”.

Schafer si rende perfettamente conto, e lo dice apertamente, che tanto l’affermazione ‘non produce alcun suono’, quanto la possibile alternativa ‘produce il normale suono di un albero che cade’ sono due risposte del tutto insoddisfacenti. Perché, a quanto ne sa lui, un albero che cade in una foresta quando non c’è nessuno ad ascoltarlo può produrre qualunque tipo di suono: “di un uragano, di un cuculo, di un lupo, della voce di Immanuel Kant o di Charles Kingsley, l’ouverture del Don Giovanni o un delicato motivo suonato da un flauto a naso maori”.

Per quanto è dato sapere a Cornia, anche piazza Grande, a Modena, potrebbe sparire, a patto che nessuno la percepisca. La stessa cosa avrà pensato il giovane Anselmo riguardo Porta Pretoria ad Aosta.

Insomma, se nessuno percepisce l’albero caduto nella foresta, non solo non sappiamo quale rumore ne è venuto fuori, ma non possiamo nemmeno dire se quell’albero è veramente esistito o se è mai esistito come elemento distinto della foresta. Ed anche se, seguendo la via indicata da Anselmo, ipotizzassimo l’esistenza di un Dio perfetto che è anche in grado di percepire la caduta dell’albero e distinguerne il suono, ci troveremmo lo stesso con un pugno di mosche: l’albero che cade avrà emesso un suono per Dio, ma noi ancora non saremmo in grado di dire quale sia questo suono.

Certo il fatto che l’albero, cadendo, emette un suono che Dio è in grado di percepire e che può essere di qualunque genere ci dà almeno la garanzia che l’albero continua ad esistere anche quando non siamo presenti. Allo stesso modo piazza Grande a Modena e Porta Pretoria ad Aosta continuano ad esistere anche quando nessuno le percepisce, tant’è che poi, appena qualcuno torna a percepirle, Dio le rimette subito al loro posto.

Se mi è concessa una divagazione, l’argomentum ornithologicum di Borges fa pendent con il problema della caduta dell’albero nella foresta ed anche con la sparizione di piazza Grande e di Porta Pretoria. L’intuizione ornitologica di Borges è la seguente: chiudendo per un attimo gli occhi può capitare di vedere uno stormo d’uccelli. A lui è successo così. Quella volta, dopo la visione lampo dello stormo, si è reso conto di non poter dire esattamente quanti uccelli aveva visto. La questione, apparentemente trascurabile, non è di poco conto perché, come scrive lui stesso, dal numero di uccelli, dalla definitezza o indefinitezza di questo numero, discende nientemeno che la risposta alla domanda circa l’esistenza di Dio. “Se Dio esiste, il numero è definito, perché Dio sa quanti furono gli uccelli. Se Dio non esiste, il numero è indefinito, perché nessuno poté contarli. In tal caso, ho visto meno di dieci uccelli (per esempio) e più di uno, ma non ne ho visti nove né otto né sette né sei né cinque né quattro né tre né due. Ho visto un numero di uccelli che sta tra il dieci e l’uno, e che non è né nove né otto né sette né sei né cinque, eccetera. Codesto numero intero è inconcepibile; ergo, Dio esiste”.

L’argomento ornitologico, che – personalmente – trovo bellissimo, mi fa nascere un dubbio. Forse, prima di chiudere gli occhi e vedere lo stormo di uccelli, Borges stava leggendo le “Opinioni del dottor Faustroll, patafisico” di Alfred Jarry. Opera contenente una presunta dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio. Il numero intero di cui parla Borges, e nella cui inconcepibilità andrebbe fondata la teoria dell’esistenza di Dio, è infatti – secondo Jarry – Dio stesso. Al quale, nonostante la necessaria inestensione, è possibile assegnare qualsiasi numero maggiore di zero. Dunque, immaginando un Dio a due dimensioni, avremo il classico triangolo equilatero. Il che, fra l’altro, permette di rispettare il dogma dell’equivalenza delle tre Persone nella Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo sono le “tre altezze” del triangolo.

Nel postulato di Jarry Dio è rappresentato da una figura di tre segmenti uguali, di una certa lunghezza, originati da un medesimo punto. Calcolare l’estensione di Dio significa perciò misurare la superficie del triangolo ottenuto congiungendo i tre punti più lontani dei segmenti. E siccome la lunghezza dei segmenti è in realtà una retta che congiunge 0 a infinito, si dovrà necessariamente concludere che “Dio è la distanza più breve da zero all’infinito”. E poiché Dio, essendo inesteso, non è una linea, Dio è il punto tangente di zero e dell’infinito.

Lo scarto con Borges è evidente: per questo l’indefinitezza è il problema, per Jarry è la soluzione.

Chiedo scusa per la divagazione ma, come si vede, siamo giunti al nodo della questione: l’indefinitezza. Indefinita la foresta, indefinito lo stormo, indefinito il tempo in cui piazza Grande e porta Pretoria spariscono. Se il numero indefinito esiste, almeno agli occhi o alle orecchie di Dio, vuol dire che indipendentemente dalla capacità umana di coglierlo, di distinguere l’albero dalla foresta o l’uccello dallo stormo, c’è qualcuno che lo mette da parte anche quando noi non la percepiamo. C’è qualcuno che garantisce l’esistenza del mondo, anche quando noi non lo percepiamo.

Non siamo lontani dalla terza via (ex contingenza) di Tommaso d’Aquino: «[…] alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che cose di tal natura siano sempre state […]. Se dunque tutte le cose […] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. […] Dunque, non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. […] negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all’infinito […]. Dunque, bisogna concludere all’esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio

Però, vien da chiedersi, è necessario un Dio per darci questa garanzia? È necessario compiere in ogni istante miracoli di sparizione ed apparizione? Mi spiego meglio. Io non sono mai stato in Cina, non l’ho mai vista e non posso neppure sapere se è abitata o meno. Però so che in Cina ci sono i cinese, c’è la città proibita, piazza Tien’anmen eccetera eccetera. E questa è una certezza che condivido con la collettività, assieme ad altre certezze, come il fatto che anche in Cina si danno alberi, foreste ed alberi che cadono nelle foreste. I più attenti e scaltri diranno che non si tratta di certezze ma di ipotesi, realistiche quanto si vuole, ma pur sempre ipotesi.

Va bene, diciamo che si tratta di ipotesi, resta il fatto che sono formulate dentro un orizzonte in cui la regolarità dell’esperienza è massima. E diciamo pure che il rumore di un albero che cade senza nessuno ad ascoltarlo non è un rumore, ma un’ipotesi, o che il destino di piazza Grande e Porta Pretoria è anch’esso solo un’ipotesi (visto che non possiamo realmente sapere se restano sempre lì anche quando nessuno le percepisce o se spariscono), comunque, nessuno potrà negare che si tratta di ipotesi attendibili poiché formulate in quell’orizzonte di regolarità che è il mondo. E nessuno potrà fingere indifferenza di fronte alla frequenza con cui le nostre ipotesi si accordano con la realtà.

Dovrò dunque concludere questo pezzo, con buona pace del mio amico (aristotelico convinto), soffermandomi sulla possibilità di un’indagine (di sapore platonico) che, tralasciando il problema dell’esistenza di Dio, si occupi della plausibilità di un fenomeno naturale per cui l’uomo (la collettività) è in grado di vedere le cose prima ancora di pensarle. Un fenomeno esterno all’uomo ma interno al mondo. Un mondo che renderebbe se stesso pensabile accordando le proprie forme alle capacità intuitive dell’uomo.

Ecco perché Cornia, per quanti tentativi faccia allontanandosi da piazza Grande, e per quanto si sforzi di essere rapido e imprevedibile, girandosi di scatto la troverà sempre al suo posto. O forse no: “Ma negli ultimi giorni Dio, che era già da un po’ che parlava male di tutto, doveva avere un inizio di esaurimento nervoso, infatti faceva sparire le cose, poi quando le faceva riapparire le faceva riapparire scombinate, per esempio cinque giorni fa e tre giorni fa aveva fatto scomparire due villette per un pomeriggio, e quando erano riapparsi i padroni di casa entrando si erano trovati un mobilio diverso da quello solito perché Dio aveva fatto riapparire le case giuste, ma aveva scambiato il contenuto […]

2 commenti

  1. pietro spina

    Che terreno impervio hai scelto, caro mio…
    Dimostrare l’esistenza di Dio. Anzi no, dimostrare l’indimostrabilità dell’esistenza di Dio. Infine, chiedersi se è possibile dimostrare l’esistenza dell’esistenza e poi, ovviamente, scherzare sull’esistenza. Sono d’accordo sullo scherzare. Perchè credo che quello dell’esistenza sia un problema marginale, per lo meno rapportato alla questione di Dio.
    Aristotele alla domanda “cosa esiste?” rispondeva semplicemente “intanto esistono le cose fisiche intorno a noi” poi c’è anche altro, ma intanto, questo, esiste. E così spiegava cosa volesse dire con il termine “esistono”. Ora se vogliamo cercare di dimostrare che Dio esiste come esiste il pc da cui sto scrivendo o il tavolo su cui esso poggia o il mio collega nell’altra stanza, credo che la risposta non possa essere altro che negativa. Dio non esiste. I materialisti semplicioni possono anche smettere di leggere, poichè quello che segue è vano sproloquio. A chi continua a leggere direi quello che ieri ho detto un po’ scherzando al mio amico: se ti dico che esiste la Chimera mi dici di no, ma intanto, quando dico “chimera” tu capisci cosa sto dicendo, quindi esiste, nella fantasia, come concetto, come astrazione, ma esiste, in quel senso. Come esiste l’ouverture delle nozze di figaro, anche se nessuno la sta suonando, come esiste la Cina anche se non la vedo, come esiste una lezione di filosofia anche se non la seguo. Esiste la storia, anche se è passata, esiste l’algebra, anche se nessuno ha visto una radice quadrata in natura. Non esistono come il tavolo e il pc, ma esistono in qualche modo.
    Parlavo della Chimera perchè una volta un professore, cui siamo molto debitori, a scuola ci disse che non possiamo inventare un’immagine, una cosa, che non esiste affatto in natura, possiamo solo “montare” insieme pezzi di cose che esistono, come appunto il mitico animale formato di parti di leone, di uccello, di capra ecc. E di fatti, a pensarci bene, ogni cosa che escogitiamo, per quanto strana e assurda, non è che deformazione di una cosa che abbiamo conosciuto, anche solo per narrazione. Ed ecco Anselmo d’Aosta, che mi fulminò con quella che rintengo, da allora, la più convincente delle prove dell’esistenza di Dio, che formulai semplicemente così: se ho il concetto di Dio, allora Dio esiste, per quanto io possa averlo deformato nella mia mente. Tuttavia, poco dopo lessi anche Feuerbach che mi convinse che in realtà non abbiamo fatto altro che deformare l’idea dell’uomo, astraendo dai suoi limiti, assolutizzando, portando all’infinito le sue qualità che riteniamo positive (bontà, sapienza, presenza, vita ecc.).
    Nondimeno ho continuato a riflettere sulla cosa, seguendo quell’altro filosofo che disse che Dio non avrebbe smesso di esistere perchè io smettevo di pensarci. Come la mia stanza quando sono in piazza. E mi sono ritrovato di nuovo di fronte al buon saggio di stagira che la domanda di come fosse nato il mondo rispondeva semplicemente che è sempre esistito e sempre esisterà.Quello che lo preoccupava, quello per cui diceva che è necessario dimostrare l’esistenza di un’entità prima, non era mica un problema di esistenza. Era un problema di movimento. Egli dice “Se, poi, esistesse un principio motore ed efficiente, ma che non fosse in atto, non ci sarebbe movimento; infatti è possibile che ciò che ha potenza non passi all’atto. (Pertanto non avremo alcun vantaggio se introdurremo sostanze eterne, come fanno i sostenitori della teoria delle Forme, se non è presente in esse un principio capace di produrre mutamento; dunque, non è sufficiente questo tipo di sostanza, né l’altra sostanza che essi introducono oltre le Idee; se queste sostanze non saranno attive, non esisterà movimento” Metaph., 1071b 3-22 passim
    Pertanto, amico mio, non otteremo alcune vantaggio se diremo che gli uomini vedono le cose prima ancora di pensarle, che esiste un mondo esterno che si fa pensare dall’uomo, se non spieghiamo per quale motivo questo avviene o, in altri termini, cosa mi spinge ad uscire di casa e andare in piazza e tornare indietro e notare che non sto nello stesso posto. “Un movimento di tal genere è provocato sia da ciò che è oggetto di desiderio sia da ciò che è oggetto di pensiero. Ma questi due oggetti, se vengono intesi nella loro accezione più elevata, sono tra loro identici. Infatti, è oggetto del nostro desiderio il bello nel suo manifestarsi, mentre è oggetto principale della nostra volontà il bello nella sua autenticità; ed è più esatto ritenere che noi desideriamo una cosa perché ci si mostra bella, anziché ritenere che essa ci sembri bella per il solo fatto che noi la desideriamo: principio è, infatti, il pensiero.”Metafisica, 12.7.1072a19 passim
    Conclude dunque che Dio, in quanto perfetto, non agisce sul mondo se non come l’oggetto del desiderio agisce sul desiderante. Anzi, l’oggetto di amore agisce sull’amante. E’ il motore immobile. Se ci pensi bene, potrebbe anche non esistere, ma spiega perchè esci e poi torni a casa.

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  2. Dario Scognamiglio

    Oso intervenire e rimescolare le carte. Cito Pietro Spina:
    “se ti dico che esiste la Chimera mi dici di no, ma intanto, quando dico “chimera” tu capisci cosa sto dicendo, quindi esiste, nella fantasia, come concetto, come astrazione, ma esiste, in quel senso. Come esiste l’ouverture delle nozze di figaro, anche se nessuno la sta suonando, come esiste la Cina anche se non la vedo, come esiste una lezione di filosofia anche se non la seguo. Esiste la storia, anche se è passata, esiste l’algebra, anche se nessuno ha visto una radice quadrata in natura. Non esistono come il tavolo e il pc, ma esistono in qualche modo”.
    Dissento. La Cina esiste anche se non la vedo, ma può vederla altra persona o io stesso se metto abbastanza soldi da parte. Stesso discorso vale per la lezione di filosofia e gli altri esempi. La chimera invece esiste solo nei confini della fantasia, dove in potenza esiste tutto. Ovviamente anche Dio.
    Quando ero ragazzo, in quella che definisco la mia fase epica, cercai di sintetizzare in una formula tutto l’insieme di sentimenti, valori, pulsioni che aspiravo e che avvertivo come “urgenti”. Coraggio, forza, grandezza d’animo…un pò come Don Chisciotte che perde il sonno e il lume della ragione sui poemi cavallereschi…io ero impazzito con Ken il Guerriero. Trovai la sintesi nella formula HIO. Non significava nulla, non era neanche un acronimo. Era solo un termine che associai a qualcosa che non riuscivo a spiegare altrimenti, all’insieme delle qualità cui aspiravo e cui cercavo di dare una “sostanza”. Insomma, mi ero creato un Dio.
    Ma Dio non esiste, appunto, più di HIO. Almeno a livello sostanziale.
    Se con “Dio” vogliamo riferirci alla più astratta tra le astrazioni, ovvero quella che dall’osservazione della realtà trae tutte le qualità possibili declinandole nella loro massima espressione…allora Dio esiste. Esiste come concetto…Forse è il concetto per eccellenza. Se adottiamo la logica di Croce, un concetto per essere tale deve possedere i caratteri di universalità e concretezza. E per concretezza si intende immanenza, ovvero la predicabilità del concetto stesso rispetto alla realtà sensibile. Essendo Dio “in ogni luogo” per definizione, non può che essere considerato un universale concreto.
    Ma Dio, anche inteso come il concetto assoluto, non è il motore immobile di un bel niente. Certamente non muove gli astri…ma neanche gli esseri umani. Pur essendo il concetto assoluto, perfetto, e quindi munito della qualità di creare, in realtà è creato.

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