La lingua Yaghan – e per deduzione ogni linguaggio – è come una rete di navigazione. Le cose che hanno un nome sono punti fissi, allineati o confrontati, che permettono a chi parla di progettare la prossima mossa. Se Bridges avesse scoperto l’estensione della metafora Yaghan, il suo lavoro non sarebbe mai giunto a compimento. Ma quanto ci ha lasciato è tuttavia bastante per risuscitare davanti a noi la luce dell’intelletto indio.
Cosa dobbiamo pensare di un popolo che definiva la “monotonia” come “un’assenza di amici maschili”? O che per “depressione” usava la parola che descrive la fase vulnerabile del ciclo stagionale del granchio, quando ha perso il vecchio guscio e aspetta che cresca quello nuovo? O che faceva derivare “pigro” dal pinguino Jackass? O “adultero” dallo hobby, un piccolo falco che svolazza qua e là, librandosi poi immobile sulla sua prossima vittima?
[Bruce Chatwin, In Patagonia, Adelphi 1982]