L’invasione degli ultracorpi (intermedi)

Uno degli effetti positivi di questi referendum (di due in particolare) è che potrebbero indurre qualcuno a riflettere sul concetto di privatizzazione di fatto di un servizio pubblico, sui diversi strumenti ai quali si è fatto ricorso per realizzarla, sull’utilizzo costante di una terminologia ambigua che dice tutto e non dice niente, che seduce per il suo potere evocativo e lascia tranquilli per la sua capacità di disinnescare la pericolosità degli scenari che essa nasconde, sulla possibilità di concepire un sistema alternativo a quello che questi referendum, in modo forse un po’ naïve, tentano di contrastare.

La prima volta che sento parlare di sussidiarietà è il 1996. Ho appena iniziato a seguire i corsi di giurisprudenza a Bologna. Qui incontro uno studente di Imola con cui, di tanto in tanto, prendo un caffè in uno dei bar di via Zamboni. Un giorno, mentre parlo con lui – non ricordo esattamente di cosa – mi ritrovo improvvisamente solo, abbandonato nel mezzo della conversazione. Lo studente ha intravisto un ragazzo che conosce, lo raggiunge fuori dal bar e si mette a discutere con lui. Non è una discussione accesa, ma si capisce che l’argomento sta molto a cuore a entrambi. Parlano di sussidiarietà.
Da quanto capisco la sinistra giovanile ha fatto circolare in università un volantino con cui critica pesantemente il concetto di sussidiarietà (non sono ancora gli anni delle infelici dichiarazioni di Bersani al Meeting di Rimini).
Non ho la minima idea di cosa sia la sussidiarietà e quando mi viene chiesto di esprimere il mio parere me la cavo dicendo che non ho voglia di affrontare quell’argomento. Poi, a distanza di qualche tempo, scopro che il ragazzo di Imola fa parte di Comunione e Liberazione. E non ci trovo niente di male. Dopo scopro quale sia il concetto di sussidiarietà propagandato da Comunione e Liberazione. Che sarebbe poi questo: affidare la gestione di quanti più servizi possibili a enti o associazioni (i ciellini li chiamano corpi intermedi) che siano il più vicino possibile ai cittadini. Quindi nella sussidiarietà lo Stato dovrebbe fare un passo indietro e anziché fornire direttamente servizi, lasciare che a farlo siano i corpi intermedi. Ai quali, appunto, fornisce un sussidio.

Il fondatore di Comunione e Liberazione, Luigi Giussani, è stato il primo paladino della sussidiarietà. Secondo Giussani l’uomo contemporaneo è una vittima dello Stato e della visione politica che pretende di stabilire standard di benessere privando la società delle potenzialità produttive dei corpi intermedi. L’uomo invece deve fuggire questo destino, deve praticare buone opere e deve farlo in una comunità, perché praticando opere in una comunità rende visibile l’avvenimento cristiano.
Ed ecco spiegata l’origine della Compagnia delle Opere.
Fra l’altro questa visione del rapporto fra Stato e Società la si ritrova pari pari all’interno del manifesto programmatico dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, iniziativa tenuta a battesimo da Maurizio Lupi (ciellino doc) ed alla quale hanno aderito fin dalle origini Luigi Casero, Angelino Alfano, Gianfranco Blasi, Maria Grazia Sestini, Luca Volonté, Pierluigi Bersani (ma guarda un po’), Enrico Letta ed Ermete Realacci. “L’ obiettivo principale del lavoro dell’Intergruppo” si legge sul sito di Maurizio Lupi, “è promuovere l’iniziativa privata dei cittadini in forme di autorganizzazione per sperimentare un rapporto più evoluto fra programmazione statale e soggetti privati”. E ancora “L’esperienza dell’Intergruppo dimostra che è possibile, oltre che necessario, un dialogo franco tra maggioranza e opposizione che abbia al centro il bene comune. Che è possibile una convergenza non solo politica, ma anche culturale, quando ci si confronta su temi di interesse comune.”

Il concetto non è entusiasmante sebbene, in questa accezione, si limiti ad indicare un altro modo di concepire il rapporto Stato/società. Ma se all’espressione “corpi intermedi” si sostituisce privati e alla parola “sussidio” finanziamento, ecco che i termini della questione cambiano un bel po’.
Anche perché, specie in ambito ciellino (e specie in ambito lombardo… ma anche emiliano), la sussidiarietà si è tradotta – di fatto – in privatizzazione e, più in generale, nel trasferimento di denaro (della collettività) a poche società private (in barba a qualunque principio di trasparenza e/o libera concorrenza) che gestiscono pezzi sempre più ampi del servizio pubblico (sanità, istruzione, ecc…). Tradotto: sussidiarietà consiste nel finanziare i corpi intermedi di matrice ciellina. Matrice che – questo è ovvio – salva le imprese della CdO dalla condanna alla quale sono invece destinate le altre realtà del privato: ricerca del profitto fine a se stesso. E non importa se per affidare un servizio ad un’impresa aderente alla CdO l’ente pubblico crea una società pubblica che a sua volta appalta a una società privata (dilapidando in tal modo ulteriori risorse economiche nei mille rivoli dei costi di gestione, di struttura, di controllo, eccetera). Il fine giustifica i mezzi.

Poi un giorno, davanti al solito caffè, sento di voler affrontare la discussione sul concetto di sussidiarietà. Allora dico al mio amico ciellino: Siamo tutti un po’ vittime. Vittime della cultura dell’esistenza non operosa. Che in fondo è una cultura diffusa. Che in fondo, se ci pensi, è una cultura di Stato. Ma nessuno Stato, anche il più democratico, nessuno stato può dare al popolo quello che vuole. Perché quello che vuole il popolo è la libera organizzazione dei suoi interessi dal basso in alto, senza intromissioni dall’alto, perché ogni Stato è un’intromissione, cioè il governo della massa dall’alto in basso, il governo di una minoranza intellettuale. Mentre invece l’individuo deve cercare una forma di autogoverno che va dal basso in alto e che decide cos’è meglio per il popolo. La libera organizzazione della vita è meglio, la libera unione delle associazioni dei lavoratori, il cooperativismo e alla fine, in un domani che non è un dopodomani, la fraternità dell’umanità che trionfa sulla rovina di tutti gli Stati. È meglio. Per il popolo.
Il mio amico di Imola non risponde, pensa forse che sia diventato un ciellino. Io invece sto solo citando, Gosudarstvennost’ i Anarchija, cioè Stato e anarchia di Michail Alexandrovič Bakunin, che in edizione Feltrinelli, nel lontano 1996, costava 13.000 lire.

[Mauro Orletti]

2 commenti

  1. pietro spina

    Se invece che di corpi intermedi parli di Terzo Settore, invece del crocifisso ci puoi mettere un’altra immagine (querce, falciemartelli, rose.. fai un po’ tu).
    L’altro giorno parlavo con un ex compagno e tutt’ora amico che si ricorda dei tempi in cui occupavamo la mensa universitaria contro la privatizzazione della stessa ovvero contro l’appalto ai ristoranti privati del servizio. Siccome oggi lui si è trovato ad amministrare un piccolo comune ed entrambi abbiamo votato ai referendum contro la privatizzazione dell’acqua, abbiamo pensato di parlarne un po’. Lui si ricorda che allora fui mandato in delegazione dall’allora assessore regionale all’Università, successivamente divenuto ministro della funzione pubblica, il quale mi disse che il settore pubblico non può realizzare una gestione efficiente del servizio (cioè quella che consente il minor utilizzo di risorse per offrire il servizio). Gli risposi che secondo me era vero esattamente il contrario, e cioè che solo il pubblico può farlo perchè il privato deve ricavare sempre un profitto, quindi disperde risorse non necessarie a migliorare la qualità del servizio. Ci accusammo a vicenda di ideologismo. Però un pasto costava allora allo studente circa 3.000 lire e all’Ente, che lo offriva tramite mensa pubblica, circa 50.000, cioè avrebbe potuto mandarci a mangiare ogni giorno al grand hotel e avrebbe risparmiato. Infatti davano la possibilità di andare presso ristoranti privati, pagando sempre 3.000 lire, ma all’Ente il pasto ne costava solo 7.000. Aveva ragione l’assessore? Forse. Ma quando ci rivedemmo tre mesi dopo, confessò che, se il costo medio del pasto era diminuito, il costo complessivo dell’Ente era rimasto uguale, dato che, pur chiusa la struttura, gli impiegati non erano stati licenziati ma erano stati collocati alla bene e meglio. Mi disse che aveva rivisto un po’ le sue convinzioni ideologiche. E pure io.

    ps. Diffido sempre da quelli che dicono cosa vuole il popolo.

    "Mi piace"

  2. Dario

    Beh, corpi intermedi e terzo settore non sono esattamente la stessa cosa.
    I corpi intermedi si qualificano come qualcosa che sta tra lo Stato e il singolo cittadino, aspirano dunque ad una dimensione comunitaria, e infatti sono in genere molto definiti in termini assiologici o ideologici (vedi CL, appunto…).
    Il terzo settore è più una via di mezzo tra lo Stato e il mercato, ed è una forma organizzativa teoricamente molto più sfumata (perché nella sostanza, in realtà, è altrettanto definita in termini di appartenenza culturale e/o politica).
    I corpi intermedi tendono ad allungare i tentacoli su settori chiave come l’istruzione e la sanità, generalmente afferenti alla sfera del pubblico e tutto sommato piuttosto remunerativi.
    Il terzo settore, quello non profit, si muove tendenzialmente in una fascia di mercato più residuale e decisamente meno remunerativa. E vive effettivamente di sussidi.
    I corpi intermedi, quando gestiscono sanità e scuola, beccano i sussidi ma non mancano di nutrirsi anche del sangue dell’utenza che afferisce ai servizi.
    Il non-profit non costa nulla all’utenza.
    In ogni caso, non ho ancora un’opinione chiara nel merito, nonostante…anzi, forse proprio perché lavoro nel settore da oltre 10 anni.
    Ecco…se la discussione prosegue, sarà per me occasione di approfondire questa riflessione

    "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...