Dal Sole24Ore, 10 giugno 2011, articolo del Prof Vaciago:
“Professore, è vero che l’acqua è un bene pubblico, che non può essere venduta con un prezzo come se fosse una merce qualsiasi?. Ai miei studenti che mi hanno fatto questa domanda, ho così risposto. Era un pomeriggio caldo di metà maggio e molti di loro avevano sul banco bottigliette di acqua che stavano bevendo e quindi è stato facile spiegargli… quello che sanno.
Quello che tutti gli italiani sanno. E cioè che l’acqua che ciascuno di noi ogni giorno compra è ovviamente un bene privato perché non c’è nulla di pubblico (cioè di collettivo) nel suo consumo. E infatti siamo il Paese al mondo dove per tanti motivi – fra cui la scarsa qualità dell’acqua prodotta dall’azienda comunale – più viene bevuta acqua – naturale o gassata, liscia, o frizzante – in bottiglia. Il prezzo di quest’acqua, prodotta e venduta nel modo più efficiente possibile, è un prezzo moderato dalla concorrenza. Come per ogni altro bene di consumo, il prezzo dipende dalla “qualità” del mercato.
I miei studenti però insistevano: «Professore, ma in tanti stanno dicendo che l’acqua è un bene comune!» Allora li ho rinviati alla lettura di un famoso saggio sulla “Tragedia (sic!) dei beni comuni”, che gli ho così riassunto Quando un bene viene offerto al consumo libero dei membri di una comunità (e l’esempio classico è quello dei prati, detti in inglese commons, che in tempi passati erano di tutti i contadini di un villaggio) il risultato è che tutti ci perdono perché c’è spreco. L’uso comune, cioè libero, di un bene che dà vantaggi ai singoli è una tragedia, cioè uno spreco. È esattamente quello che vediamo oggi in Italia, con una distribuzione pubblica dell’acqua spesso inefficiente e piena di sprechi, anche perché facciamo finta che sia giusto farne pagare l’uso a chi meglio può farlo, cioè al contribuente. Peccato che quest’ultimo ben poco possa fare per ridurre gli sprechi degli acquedotti!”
L’acqua è “ovviamente un bene privato”!?! Nel difendere strenuamente la sottomissione al capitale privato di qualsiasi cosa, gli economisti dimenticano (o fanno finta di dimenticare) che il capitale non è una legge di natura, bensì deriva da un’appropriazione storica (e violenta). I “commons, che in tempi passati erano di tutti i contadini di un villaggio” – o meglio la loro privatizzazione – sono proprio alla base storica dell’espropriazione della proprietà comune da parte dei borghesi. I beni comuni prima vengono sottratti alla collettività dei lavoratori/produttori; poi, in forma di merce prodotta privatamente, agli stessi lavoratori espropriati vengono rivenduti. Ciò che si palesa in questo passaggio (furto… chiedere ai contadini inglesi di qualche secolo fa, costretti a diventare operai in città, dopo la privatizzazione delle terre comuni), non è una riduzione di spreco, bensì la sottomissione al capitale dell’intera produzione, anche dell’acqua.
In virtù di una produzione pubblica – invece – si può accettare una più lenta riduzione degli sprechi, per avere basse tariffe dell’acqua. Le finanze pubbliche servirebbero, come oggi, a calmierare i prezzi di una sostanza che è ben più della metà del nostro corpo (vagamente essenziale, no?). L’investimento privato sarebbe volto, attraverso una presunta riduzione degli sprechi, al solo scopo di aumentare profitti e tariffe. Come regola del capitale in ogni dove.
Divertente è anche sentir dire che “un bene che dà vantaggi ai singoli è una tragedia” in termini di spreco di acqua pubblica. E invece l’imbottigliamento di acqua da parte di poche imprese multinazionali non dà vantaggi ai singoli (capitalisti)? L’intero articolo del Sole, in sintesi, è attraversato da un uso ideologico e ambiguo dei termini: comune, singolo, spreco, uso, contribuente, qualità, mercato. “Il prezzo di quest’acqua, prodotta e venduta nel modo più efficiente possibile, è un prezzo moderato dalla concorrenza”. E chi l’ha detto? Forse che il capitalismo è l’unico dei modi (di produzione) possibile?
No, è solo quello che oggi domina e che – nei tentativi assecondati dagli economisti – tenta di estendere il proprio dominio su tutto. Così come ha dominato e sostituito il modo di produzione precedente (il feudalesimo) ANCHE con la recinzione delle terre comuni… ma ciò solo per evitare gli sprechi, vero Vaciago? Il capitalismo è solo il modo di produzione dominante, non l’unico possibile. A meno di non considerare l’ “interesse che nella madre patria induce quel sicofante del capitale che è l’economista politico a dichiarare in teoria che il modo di produzione capitalistico è proprio l’opposto di quello che è” (Karl Marx, il Capitale, Libro I, Capitolo 25).
[Claudio Cozza]