La storia condanna

Dedicato a chi capisce
quando il gioco finisce
e non si butta giù
(Ivano Fossati, Dedicato, 1979)

Esistono persone per cui distinguere la propria storia dalla Storia è particolarmente difficile. Non si tratta solo di sterile individualismo. Chi cerca di affrontare i propri sentimenti e di trovarne un senso, piuttosto, ha qualche carta in più per vedere nella storia sociale e politica un insieme di vite, non solo una sequenza di eventi.

Questo atteggiamento spesso si accoppia a una coerenza, astratta e pesante, una condanna per chi la vive. Ossia gli eventi stanno e non stanno dentro la persona che li osserva: nella misura in cui appaiono come un prodotto della propria individualità, sono interni; ma attorno e prima dell’individualità c’è una realtà oggettiva che altro non è se non l’interrelazione di tutte le persone. E, quindi, dei rapporti (di forza) tra di esse.

In alcuni casi mantenere in piedi questa coerenza è insostenibile. La persona non si limita a lasciare andare ciò che oggettivamente si sta allontanando dalla propria comprensione. Ha una necessità di tenere tutto insieme, la storia e la Storia, coerentemente, fino a un punto di non ritorno. Freud, non a caso, dice che in questi casi l’energia, questa “libido delle nostre pulsioni sessuali coinciderebbe con l’Eros dei poeti e dei filosofi, che tiene unito tutto ciò che è vivente”.

A questo proposito viene in mente Cesare Pavese. Per contiguità geografica, si sarebbe potuto scrivere anche di Luigi Tenco. Dopotutto, Google Maps ci spiega che da Cassine (Alessandria) a Santo Stefano Belbo (Cuneo) ci sono solo una trentina di chilometri e in tre quarti d’ora ci si arriva. Pavese, in uno dei suoi ultimi scritti (Il compagno), racconta una storia – che in parte è la sua storia – pienamente dentro la Storia. Su uno scapestrato svogliato ma comunque appartenente alla classe lavoratrice che prende lentamente coscienza della propria condizione, con uno sfondo di Italia fascista già declinante verso la guerra. Tutto il romanzo è permeato da un rimpallo fra piano individuale e politico/sociale.

– Troppa gente ha interesse. Quello che bevi e che fumi lo dice il padrone.
– E le ragazze?
– Te lo dice il padrone. Se non puoi lavorare e guadagnare, me le saluti le ragazze.

Questa coscienza analitica, però, non riesce a nascondere il privato dell’uomo Pavese. Dopotutto, le riflessioni che facciamo su ciò che ci sta intorno scaturiscono dalle esigenze che ciò che ci sta intorno scaturisce in noi stessi. La storia e la Storia. Costretto fin da bambino a crescere in fretta, Pavese a 27 anni ha già scritto, tradotto e iniziato una relazione con Tina, insegnante e comunista. Per la sua attività, poco dopo gli viene comminato il confino: da Torino viene spedito a Brancaleone Calabro. Dopo meno di un anno gli viene concesso di tornare a Torino. Tina non lo ha aspettato e sta per sposarsi. Le esigenze oggettive sono più forti di una coerenza astratta. Ma vale per tutti?

Quando gli dissi che tutto capivo ma non rubare la ragazza a chi è in prigione, mi rispose che una donna si ruba sempre a qualcuno e bisogna sbrigarsi, perché poi viene il giorno che la rubano a te. – Ma è in prigione, – gli dissi.
– Si sa già, – disse lui. – Chi va in prigione lo sa che la donna si spassa. Non puoi vivere a Roma senza farci l’amore.

La crisi di Pavese è violenta, nasce in lui un germe che si porterà dietro in rapporti sempre critici fino all’ultimo gesto, a 42 anni. Nel romanzo Il compagno così come nella sua vita, si divaricano le strade fra la coscienza analitica e la necessità di ancoraggio alla realtà. Non a caso, nel romanzo i due piani sono diversamente rappresentati: quello più immediato e reale da donne (più di una); quello ancora immaturo, incosciente e teso a un superamento ideale della realtà dal protagonista maschile. Sullo sfondo, prosegue il cambiamento epocale in cui il fascismo italiano, la guerra civile spagnola e il rafforzarsi del regime sovietico prendono contorni poco distinti, meno contrapposti di prima. Il buono non sta tutto da una parte, né dall’altra. Oggi lo sappiamo meglio ma allora la lucidità di Pavese era piuttosto anticipatrice.

Per svilupparla, una coerenza-condanna è ineliminabile. Non si può vivere pienamente la realtà, vivere tranquilli e avere coscienza. Nel romanzo, ancora due modi di vivere e sentire contrapposti. La tesi di lei è diretta, semplice, come le sue richieste:
– Per stare meglio tutti quanti, – disse lei, – cominciate a star peggio voialtri. Férmati qui, – mi disse brusca e mi abbracciò, – non andartene ancora.
Nella risposta di lui, qualche pagina dopo, sta la visione individuale e storica, definitiva e tragica dell’uomo Pavese:
– Tutte le classi hanno dei matti, – disse lui. – Se non fosse così, saremmo ancora a Roma antica. Per cambiare le cose ci vogliono i matti. Ti sei mai chiesto cos’è un matto a questo mondo?

Questo articolo è apparso anche sul blog aWalkOnTheWildSide: http://fbogliacino.blogspot.com/2010/08/la-storia-condanna.html

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