Tu sei lì, al tavolo del tuo ufficio, il telefono squilla, non rispondi, il tuo collega ti dice di rispondere, tu non rispondi, ti alzi, infili la giacca ed esci. Non saluti nessuno e non spegni nemmeno il computer. Attraversi il corridoio, ti fermi davanti all’ascensore, aspetti che qualcuno lo chiami o che le porte si aprano da sole. Poi entri e aspetti di arrivare al piano terra. Anche davanti ai tornelli aspetti che qualcuno utilizzi il tesserino magnetico. Allora ne approfitti per uscire. Una volta fuori: sei libero. Sali sul primo autobus che passa, senza guardare il numero, senza sapere dove andrai. Ad un certo punto prenoti la fermata ma non scendi. Prenoti la fermata altre due volte ma non scendi. Così, dopo averne mancate un certo numero, vedi le porte aprirsi per far salire tre anziani ed è allora che balzi fuori dall’autobus. Ti metti a camminare lungo una strada e continui a camminare fino a quando vedi un bar ed entri. C’è un uomo prima di te che ordina una sambuca. Anche tu ordini una sambuca. Bevi ma non senti alcun sapore. Paghi ed esci. Riprendi a camminare osservando tutto quello che ti circonda. Uomini e oggetti di cui ti accorgi ma che, gradualmente, fai sempre più fatica a distinguere, collocare, giudicare. Né grandi né piccoli, né rapidi né lenti, né belli né brutti. Alzi lo sguardo, cerchi una finestra aperta. Quella. Oggi son tutte chiuse. Allora compri un giornale all’edicola. Il primo fra quelli presenti nell’espositore. Ti fermi a leggerlo su una panchina e lo leggi tutto, dalla prima all’ultima pagina, compresi necrologi, previsioni del tempo, quotazioni di borsa, programmi televisivi, acquisto e vendita, offerte lavoro. Quando hai finito riprendi a camminare, stranamente sereno per via di una persistente sensazione di libertà. La libertà di chiamarti fuori, mancare appuntamenti, rispondere “No, grazie, preferirei di no”, restare passivo, bastare a te stesso, astenerti dal decidere, non aspettare nulla, sentirti «l’anonimo padrone del mondo» su cui la storia non ha più presa. Continuare a vivere così per lungo tempo. Finché, senza alcun preavviso, ti svegli. Sei al tuo posto in ufficio. Non hai alzato il telefono per dire “pronto?”, non hai risposto al tuo collega, non hai imparato nulla, non sei più il padrone del mondo. Gli altri ti credono impazzito o malato ma tu non sei né impazzito né malato. Hai appena finito di leggere Un uomo che dorme, di George Perec, un libro in cui c’è un’immagine bellissima: i tuoi calzini che galleggiano in una bacinella di plastica. Tutto qui.