Se passerete per una di quelle stazioni ferroviarie di paese, estrema periferia italiana, potrete trovarmi lì. Lo avevo promesso: scriverò la storia della mia vita, seduto al tavolino scomodo ma tanto artistico. Te lo avevo promesso, no? Ora ci sono: era ora! Non ho avuto molto tempo ma adesso ci sono.
Se proverete a interrogarmi sulla mia vita, probabilmente parlerò parecchio. Amo parlare, amo raccontarmi. Ma amo soprattutto quando le storie individuali prendono una forma astratta, universale: il narcisismo dell’io si confonde con la necessità di razionalizzare, di buttare fuori di me (di noi) le esperienze vissute per renderle insegnamento collettivo. Senza la menzogna delle cose taciute; però con meno fretta di prima, allorquando la menzogna era invece nelle cose presuntuosamente dette ad alta voce più per pregiudizio che per convinzione scientifica.
Se passerete per quella stazione, quindi, troverete una persona tutta intenta ad astrarre e sintetizzare la propria vita. Passerà un uomo a prendere un caffè, passerà una donna a portare una lettera alla gestrice del piccolo bar di stazione. E ogni volta, nello sguardo delle due donne rivedrò la stessa complicità che intercorre fra due donne che non si conoscono; che non hanno avuto modo di discutere su alcuna cosa; soprattutto, che non avranno avuto come termine medio lo stesso uomo.
L’uomo del caffè, invece, probabilmente sarà stato più volte combattuto fra più donne. Magari due allo stesso tempo, due con le quali voleva costruire la stessa storia e si illudeva di poter raggirare la realtà. Ricordi? Me lo avevi spiegato tu prima di partire per quei tre mesi, quando nella tua fuga non potevo non vedere la disillusione per un uomo che aveva tradito in passato e che adesso aveva tradito anche te. Quando ci siamo sentiti per telefono, tu non eri ancora partita e io sì: ti ho convinta io a partire? Magari ti ho convinta io.
Se vi fermerete al mio tavolino, potremo fare colazione insieme. Una di quelle colazioni di tarda mattina, solo perché sarò già lì da diverso tempo. Amo svegliarmi presto, amo scrivere di mattina quando ho la mente lucida. Ci sono scrittori che sanno scrivere solo di notte. Ma io non sono uno scrittore. Ci sono altresì scienziati che sanno studiare solo di notte. Forse sono più scienziato che scrittore, ma nemmeno quello posso fare di notte. A dire la verità, nemmeno di pomeriggio. Mi sveglio presto la mattina e farei tutto di mattina, qualsiasi cosa, possibilmente con il sole perché la nebbia mi fa pensare ma non esprimere i miei pensieri: me li tiene lì, compressi come in attesa di una liberazione e la liberazione è il sole.
Se mi raggiungerete a metà colazione, dovrete attendere che io finisca. Però sono molto veloce, di solito. Dopo, vi porterò a passeggiare per le rive del fiume che passa lì vicino. Ti ricordi? Abbiamo passeggiato così tante volte in riva ai fiumi, ai laghi, al mare. Mano nella mano o anche no. Pensavo che quell’acqua potesse unirci per sempre e invece era solo un’oggettività che stava lì a fare da sfondo. Faceva da sfondo ai nostri pensieri, ai nostri discorsi, ma nemmeno quelli hanno potuto unirci per sempre. Nemmeno in una vasca delle terme ci siamo trovati: era troppo grande e ciascuno di noi era troppo intento a vivere la propria vita, per poter trovare il modo – ad ogni costo, sì, ad ogni costo – per cercare l’altro e non lasciarlo più.
Se avrete avuto la breve pazienza di vedermi terminare una colazione in un piccolo bar di una piccola stazione di un piccolo paese della periferia d’Italia (dove però si fermano molti treni), faremo due passi lungo il fiume e poi vi inviterò a mangiare. Amo offrire ma solo se non si deve iniziare una di quelle battaglie di finta cortesia borghese del tipo: prego, prima lei! Ma per carità, non mi permetterei mai! Questa volta tocca a me: tengo il conto al millesimo e non sia mai detto che sono un tirchio! Vi offrirò il pranzo e parleremo della vostra vita: amo anche ascoltare, ma non per cortesia. Amo conoscere la vita degli altri per poterla astrarre e dare subito un consiglio. Un giudizio, a volte, è vero. D’altronde è ciò che mi aspetto dagli altri. E che faccio subito anche io. E se non do un giudizio, allora propongo qualcosa. Hai presente quella volta che ti ho detto che avremmo potuto scrivere una canzone insieme? Pensavi ci stessi provando, no? E invece, almeno in quel momento, pensavo solo che avremmo potuto scrivere una canzone insieme.
Se voi sarete quell’uomo indeciso fra due donne, sarà difficile dare un consiglio definitivo. Tendenzialmente direi: privilegia quella che ti ha dato di più, che magari si è sacrificata di più per te. Ma probabilmente sarebbe anche quella con più pregiudizi, quella che agisce solo dopo aver riflettuto e analizzato e valutato che quella scelta si dovrà intraprendere perché è la migliore. Oddio, questo sarei io. Una donna ha comunque più grazia nell’affrontare queste scelte razionali e sempre con una buona dose di irrazionalità. E sempre con una grandissima dote di sofferenza, che mai è scelta e sempre è imposta dalla società che noi maschi accettiamo come tale per comodità. Quante volte mi sono scoperto a lasciare andare le cose, soltanto perché un’altra persona (troppo spesso una donna) prendesse le decisioni che io sapevo ma non volevo.
Se invece preferirete l’altra donna, quella che al posto di comprimere definitivamente la propria parte istintiva le avrà lasciato campo libero, sarà una scelta di difficoltà diverse. Al momento sarà più estasiante, poi più dilaniante, poi alla lunga vi stancherete entrambi. Te lo dicevo spesso, in quei momenti di empasse (tua). Quando non sapevi che strada prendere; quando non sapevo che le due strade avevano due nomi, di uomini che non ero io. Però quando ti ho detto che eri la persona che più mi faceva stare bene, in quel momento hai avuto un sussulto di gioia. Ricordi? Io guidavo e avevo appena fermato la macchina, tu eri al mio fianco. E io pensavo che fra le due strade (due uomini, non uno… a saperlo!) la terza potesse essere proprio la mia. Una sensazione durata così poche settimane…
Magari invece voi sarete una donna e io sarò quell’uomo: mi chiederete del mio passato e io vi parlerò dei miei tradimenti. Anche di quelli che tecnicamente non si direbbero tali. O vi parlerò di quando anche io ero indeciso fra due donne e nessuna delle due incarnava pienamente la razionalità. E nessuna delle due l’irrazionalità. Perché nonostante il professar dialettica, ricado sempre nelle dicotomie più banali: la vita e la morte; il corpo e la mente; la bionda e la bruna.
Se non sarete bionde, vi racconterò di una delle mie amiche bionde. Di quelle che ormai non sento più. Se sarete una donna e non bionda, probabilmente mi direte che quella non è amicizia, ma il solito mascheramento maschilista: avere un ruolo, avere una forma qualunque di potere dietro la quale nascondere il semplice istinto sessuale. Ormai non lo riesco più a trovare semplice: faccio salti mortali per accelerare i pensieri nell’eccitazione e poi ricondurli alla tenerezza – almeno un po’ – perché se dalla tenerezza parto poi non succede niente. La tenerezza sessuale è gemella della paura: come trovarsi ad accarezzare una testa bionda avendone in mente un’altra e per nulla concentrati in quello che si dovrebbe fare.
Allora voi mi chiederete di essere più esplicito.
Chiederò il conto.
E se avrete capito qualcosa di me, per continuare a costruire qualcosa con me, mi porterete un regalo sul quale ragionare: un film, un libro, una canzone. Ma sarà solo l’inizio, è solo l’inizio: dopo dovrete verificare che io abbia visto il film, letto il libro, ascoltato la canzone. Non ci si deve mai fidare del tutto di quello che un uomo mostra: abbiamo quotidianamente imparato a mistificare.