Adesso io non voglio annoiare nessuno, lo giuro, non voglio fare un’altra tirata sull’articolo 2112 del codice civile, sul senato, sul trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda. Altrimenti facevo l’avvocato e invece, appena finita l’università, ho immediatamente scartato l’idea. Ma non sono pentito di aver fatto giurisprudenza. All’inizio pensavo di essere pentito e invece no. Perché, come si dice, adesso c’ho gli strumenti.
Può voler dire tutto e niente, averci gli strumenti. Bisogna anche saperli usare, gli strumenti. Poi c’è la questione etica, nella quale – per il momento – non mi addentro. Comunque nello specifico, nel mio caso, averci gli strumenti vuol dire non scoraggiarsi di fronte ad articoli, emendamenti, comma 3-bis, obiezioni in punto di diritto.
Dopo che ho pubblicato l’articolo – e, per la prima volta, ho avuto la spavalderia di farlo circolare – ho ricevuto alcuni preziosi commenti. Uno di questi, per esempio, mi faceva notare che una deroga all’articolo 2112 era già stata introdotta dall’articolo 47, comma 5, della legge 428/1990 che in buona sostanza consentiva (e tuttora consente) all’accordo delle parti di far sì che il trasferimento di ramo d’azienda, nel caso di aziende in regime di amministrazione straordinaria, non sia da considerarsi un trasferimento di ramo d’azienda. Perciò, a ben guardare, il raggio di tutela dell’articolo 2112 era molto limitato ancor prima del famoso emendamento 3.0.1.
È vero. Drammatico, ma vero.
Però, siccome c’ho gli strumenti – che può voler dire tutto e niente, averci gli strumenti – mi permetto di osservare che, in punto di diritto, l’emendamento 3.0.1. approvato al senato il 21 novembre scorso produce comunque un effetto sulle aziende in regime di amministrazione straordinaria che recuperano l’equilibrio economico delle attività imprenditoriali tramite la cessione di complessi aziendali. Un effetto mica da poco. Infatti, grazie all’emendamento 3.0.1., la cessione dei complessi aziendali di imprese in regime di amministrazione straordinaria ecc…, non costituisce trasferimento d’azienda. Quindi, per un verso non si applica l’articolo 2112 e, per altro verso non si applica nemmeno la legge 428/1990. E la legge 428/1990, nel bene o nel male, prevedeva pur sempre una disciplina dei trasferimenti d’azienda e, soprattutto, diceva chiaramente che la deroga al 2112 implicava l’attivazione delle procedure di informazione e di consultazione nonché il raggiungimento di un accordo fra le parti circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione.
C’è n’è abbastanza, mi pare. Due dita in gola, mi pare.
Sulla questione dell’emendamento 3.0.1. mi ha scritto anche un amico che, appena finita l’università, aveva una sola certezza: avrebbe fatto l’avvocato. Ecco lui – che c’ha gli strumenti (più del sottoscritto), sa come usarli ed ha anche risolto tutte le implicazioni etiche del caso – lui dice che non ce ne accorgiamo, poveri fessi, ma è in corso una lotta senza quartiere contro gli istituti fondamentali del diritto del lavoro. Dice che, fra non molto, smetterà di definirsi specializzato in diritto del lavoro perché il diritto del lavoro non esisterà più.
Te lo ricordi tutto il casino dell’art. 18? mi ha domandato questo amico avvocato. Erano partiti da lì. Quella volta il sindacato ha fatto la voce grossa e Cofferati è passato per il nuovo leader della nuova sinistra italiana. Te lo ricordi? Ecco. Com’è andata a finire? Il nuovo leader della nuova sinistra italiana è il sindaco uscente di Bologna. Il sindaco uscente di Roma è il nuovo leader della nuova sinistra italiana.
Ma l’art. 18 è pur rimasto dov’è! gli ho detto.
Bravo, sì, è rimasto dov’è, ha detto l’amico giuslavorista. Ma tutto quello che stava intorno all’art. 18, invece, se lo sono mangiati un poco alla volta. E poi adesso stanno macchinando per abolire la gratuità del processo del lavoro. Siccome è gente che non ha gli strumenti – e anche se li avesse non li saprebbe usare, e delle questioni di etica preferisce trattare nei convegni organizzati dalla figlia di Berlusconi – fanno tutta una gran confusione e portano avanti contemporaneamente diversi disegni di legge, dall’introduzione di un contributo unificato speciale di 100 euro all’abolizione della norma sulla gratuità del 73 ecc…
Se poi ci tieni tanto a vomitare, dice l’amico avvocato, ti offro una tazzina di caffè con limone e bicarbonato: stando alle disposizioni U.E. la “nuova” alitalia non può accollarsi i debiti di quella precedente (infatti non possono fare la cessione di ramo d’azienda… e quindi niente articolo 2112). Questo vale per tutti, dico TUTTI, i dipendenti alitalia, cioè quelli che rimangono dentro e quelli che vengono sbattuti fuori. Ma chi dovrà liquidarli? Indovina un po’? La vecchia compagnia, la bad company! E questo significa che sarà il fondo di garanzia dell’INPS a pagare migliaia di liquidazioni più o meno d’oro (in alcuni casi gli stipendi raggiungono i 100.000 euro l’anno) per tutti gli anni di lavoro in alitalia… L’INPS, cioè noi. In alitalia circolano già i moduli per fare le domande. Me l’ha mostrato un cliente, il modulo. Però insomma, alitalia – come tutte le aziende – dovrebbe aver accantanto i soldi delle liquidazioni. E be’, e che fine hanno fatto questi soldi? Lo sai tu?
Io non lo so, purtroppo. Non ho tutti questi strumenti. Ma se li avessi, ti giuro, guarda, saprei come usarli. Se li avessi. Che averci gli strumenti, nello specifico, vuol dire non scoraggiarsi di fronte ad articoli, emendamenti, comma 3-bis, obiezioni in punto di diritto, disegni di legge, atti dei convegni sull’etica. Però alle volte, credimi, averci gli strumenti, guarda, bastano due dita, così, in gola. Saper usare gli strumenti.
Mauro Orletti