E me ne stavo mesto a lavorare
rinchiuso là nel Maschio di Volterra
un secondin mi viene a salutare
e nella sua la mia destra serra.
Mi disse: Allegro, grazia la fanno a te.
Tutti i giornali parlano, combattono per te.
Grazie, l’accetterò se me la danno
coi miei diritti di buon cittadino
io son rinchiuso qui da ventun anni
non vo’ morir col marchio di assassino.
Se gli innocenti vogliono qui serrar
i nostri patimenti chi li compenserà?
Hanno riconosciuto la mia innocenza
or che, lo vedi, il mio capello è grigio
viva l’adorno cavalier di scienza
che ha convertito il bianco con il bigio.
E addio compagni, viva la libertà
se ne va il Betecchi, ma non vi scorderà.
Nota
In un’edizione piuttosto vecchia e ingiallita della “Storia fotografica del partito comunista italiano”, Editori Riuniti (e chi se no?), acquistata in un posto d’altri tempi che ha un nome d’altri luoghi e cioè “Cose d’altre case”, ho trovato un foglietto di carta ingiallita su cui era trascritta la poesia “Il Maschio di Volterra”.
Non sapevo si trattasse di un canto di galera di origine fiorentina piuttosto famoso. Io, per me, credevo di avere fra le mani l’opera inedita di un poeta anonimo. Poi però, cercando su internet, è venuto fuori che “Il Maschio di Volterra” non è per niente una poesia inedita. È un canto di quelli tipo blues, no?, con le catene, ma con un ritmo completamente diverso. È stato anche registrato, il canto. La prima volta nel 1962, a Galceti.
Fatto sta che esistono parecchie versioni de “Il Maschio di Volterra”. Quella che ho trovato nella “Storia fotografica del partito comunista italiano” è una versione d’altro genere, che andrebbe pubblicata da editori d’altra pasta. Invece la pubblichiamo noi. Cose dell’altro mondo!