Prefazione inedita a Pensieri di Giacomo Leopardi
Questo libro esce postumo, cioè dopo la mia morte e perciò mi impiccia non poco parlarne, soprattutto in forza di quel titolo, “Pensieri”, perché questi ultimi, come si sa, non sono possibili per chi si trova nella mia condizione.
Ormai, liberato dalla vita terrena, non mi è più dato di pensare alcunché e mi beo nella più assoluta, direi quasi sfacciata spensieratezza! Niente più pensieri, preoccupazioni, ansie. E per questo, come dicevo anche da vivo, la morte insieme all’amore è una delle cose più belle che la natura ci abbia concesso. La morte sì che ci rende eternamente spensierati.
Mi duole però che questo libro sia uscito senza che io abbia potuto rimetterci mano e rivederlo. Chissà cosa avrà combinato quel mio amico del cuore, Totonno Ranieri, che ne ha curato l’edizione. Pasticcione com’è, vai a sapere cosa ci avrà ficcato dentro; di sicuro avrà cambiato a suo piacere quello che avrà voluto; e del resto, non potendo più scrivere di mio pugno a causa dei miei malanni, negli ultimi tempi ero costretto a dettare a lui tutto ciò che mi passava per la testa e non potevo certo controllare se aveva scritto bene.
Ma a questo punto, spensierato come sono, non posso più dire di che natura fossero i “pensieri” che gli andavo dettando. Di cosa trattavano? Filosofia, poesia? Balistica, giardinaggio? O forse arte del ricamo? Me ne resta un’idea vaga e lontana.
Soltanto mi auguro che il mio amico si sia almeno ricordato di inserire nel volume quell’elenco dei cibi di cui andavo ghiotto, un elenco che avevo compilato scrupolosamente e che di sicuro sarà rimasto in mezzo alle mie carte. Quelli sì che erano i miei pensieri fissi: le squisitezze che avrei mangiato con gusto se il mio stomaco le avesse tollerate. Oh che pensieri soavi mi suscitavano i carciofi fritti al burro con salsa d’uova! Che speranze, che cori, il bodin di ricotta, i pasticci di maccheroni, la farinata di riso! Oh i fegatini, oh i cervelli fritti, oh il cacio cotto!
E non parliamo poi dei gelati, e in specie quelli del grandioso sorbettiere napoletano Vito Pinto, o delle deliziose granite di limone che tentai di trangugiare persino in punto di morte!
In tutto quel ben di dio erano riposti i miei più profondi pensieri, la summa della mia filosofia. Ma forse il buon Ranieri non riuscì mai a capirlo.
Giacomo Leopardi
[Alfonso Lentini]