Ho due amici che sono stati trotskisti. Uno è un poeta, è nato nel ’39, ha 77 anni e ha scritto vari libri. L’altro non ha scritto niente e non ha pubblicato niente, è nato nel ’77 e quindi ha 39 anni. Non so se hanno qualcosa in comune, a parte il fatto di essere trotskisti. Sono entrambi molto sensibili, mi verrebbe da dire. E questa loro sensibilità li porta ad avere quasi sempre ragione. Questo fatto di avere quasi sempre ragione – mentre io, ad esempio, ho quasi sempre torto – penso sia la causa, e al tempo stesso l’effetto, del loro essere stati trotskisti.
Nonostante ne avessero la possibilità, non li ho mai visti seduti sull’argine di un fiume ad aspettare che passasse il cadavere di qualche nemico. Forse perché la parte emotiva, da cui origina la loro sensibilità, ha preso il sopravvento su quella razionale. O forse perché quella razionale suggerisce di diffidare dei proverbi cinesi. Alle volte, infatti, succede di vedere dall’altra parte del fiume il nostro nemico. Anche lui aspetta seduto sull’argine. Sicché, se vogliamo dare retta ai saggi cinesi, a un certo punto uno dei due dovrebbe cadere stecchito e finire nel fiume, così che l’altro possa guardarlo passare.
In un certo senso leggere “Ossa, cervelli, mummie e capelli” (Quodlibet 2016) di Antonio Castronuovo è come arrivare sull’argine del fiume e, anziché fermarsi a guardare i cadaveri – o i pezzi di cadavere – passare (ne passano un bel po’ infatti, anche se non si tratta di nemici: la mummia di Lenin, il cranio di Mozart, il cervello di Einstein, i capelli di Beethoven, il pene di Napoleone…) anziché fermarsi a guardare, dicevo, si inizia a risalire la corrente.
Si compie cioè un viaggio al contrario, risalendo fino al giorno in cui la reliquia laica è stata creata. Un viaggio nello spazio – come per il cervello a fette di Einstein o il cranio di Mozart –, nel tempo – come per il dito di Galileo o il pene di Napoleone –, e ancora nel pensiero – come per l’autoicona di Bentham e la mummia di Lenin.
In tutti questi casi Antonio Castronuovo conduce le sue indagini, curiosissime e assai gustose, inseguendo indizi, esaminando documenti, visitando musei, università e biblioteche che, in un certo senso, sono le cattedrali in cui vengono custodite le reliquie laiche. Non mancano sorprese e colpi di scena perché, in effetti, quanto a imbalsamazioni, riesumazioni, contraffazioni e furti queste reliquie non hanno nulla da invidiare a quelle dei santi. Per non parlare delle vicende degli uomini cui appartenevano le ossa, i cervelli, le mummie e i capelli finiti nel libro, a dir poco forsennate e anche un po’ grottesche.
Sorprese, si diceva. Può essere una sorpresa, ad esempio, scoprire che il filosofo utilitarista Jeremy Bentham volle, per testamento, che i suoi organi fossero asportati (evidentemente pensando potessero essere utili alla scienza) e che lo scheletro fosse modellato con della paglia, vestito con i suoi abiti, collocato su una sedia ed esposto al pubblico. Decisione, questa, sulla cui utilità ci sarebbe da discutere e che pone alcuni interrogativi sull’attitudine all’autocelebrazione, che rende alcune reliquie profane non meno imbarazzanti di quelle sacre.
Sicuramente è una sorpresa scoprire che il cervello di Einstein pesava 1230 grammi, cioè un po’ meno della media.
Con la mummia di Lenin le cose stanno in modo diverso. Sappiamo tutti che si trova nel mausoleo nella piazza Rossa di Mosca. Quindi Stalin riuscì riuscì nell’intento di conservare il suo corpo abbastanza a lungo perché ci si potesse abituare all’idea della sua assenza. Ma quel che non aveva potuto prevedere era che l’equipe che oggi si occupa del mausoleo è la stessa che dirige la “Ritual service”, ovvero la società di imbalsamazione per nuovi ricchi e membri della mafia russa morti ammazzati.
Il che dimostra, e Castronuovo non manca di farlo notare, che Trockij aveva ragione anche a proposito della mummificazione di Lenin: una decisione che avrebbe potuto prendere solo chi non aveva capito assolutamente nulla della dialettica marxista.
Dopodiché Trockij, anziché sedersi sull’argine del fiume, fuggì in Messico. E qui il suo nemico lo raggiunse e lo uccise. Trockij morì e, come aveva previsto, morì “rivoluzionario, proletario, marxista, materialista dialettico e di conseguenza ateo convinto”. Quel che non aveva previsto è che sarebbe morto con una picozza conficcata in testa, cioè allo stesso modo di Pietro da Verona, venerato come santo e martire dalla chiesa cattolica, le cui spoglie sono conservate a Milano nella basilica di Sant’Eustorgio. Se valga la pena occuparsi di reliquie sacre, dovrò chiederlo ai due amici trotskisti. Intanto fidatevi del sottoscritto e andate a leggere il libro di Castronuovo, vale sicuramente la pena.
Mauro Orletti
[Antonio Castronuovo, Ossa, cervelli, mummie e capelli, Quodlibet 2016]