Solo sigari quando è festa è un thriller ambientato a L’Aquila nel 2009. Il 2009 è l’anno del terremoto: 309 morti. E per l’appunto Alessio Romano apre il racconto la notte del 6 aprile 2009, quando Nick scampa miracolosamente al crollo della palazzina in cui vive.
Pur restando confinato nel prologo, il terremoto è il motore degli eventi.
La tragedia, come ogni tragedia, segna la vita delle persone, entra nella coscienza collettiva, mette in moto imprevedibili meccanismi mentali e riattiva ciò che è bloccato da tempo.
C’è un bellissimo cortometraggio di Sean Penn, girato per l’opera collettiva 11’09’’01 Settembre 11, in cui un vecchio Ernest Borgnine passa le giornate nel suo appartamento all’ombra, letteralmente parlando, delle due torri. È rimasto vedovo ma lì, in quell’appartamento che è una bolla chiusa all’esterno, il desiderio di avere la moglie accanto prende il sopravvento. È come se non fosse mai morta, tanto da coinvolgerla in lunghissime conversazioni durante le quali le parla di tutto, del passato e del presente. Il presente è una piantina sul davanzale che non vuol saperne di fiorire. Poi, quando gli aerei si schiantano e, una alla volta, le ombre delle torri vengono giù, la luce inonda l’appartamento e la piantina – finalmente – fiorisce. La gioia dell’uomo è improvvisa e inattesa come la sofferenza per la scoperta di essere rimasto solo.
La tragedia collettiva è anche dramma individuale ma, nel caso del cortometraggio, il dramma individuale è consumato da tempo e nulla ha a che vedere con l’attentato terroristico.
Accade una cosa simile in Solo sigari quando è festa: c’è un dramma individuale, anzi ci sono molti drammi sepolti sotto macerie di ricordi, possibilità, aspettative tradite e debolezze umane. Poi il terremoto apre uno squarcio, fra crollare ogni barriera, seppellisce vite sotto cumuli di rovine e, al tempo stesso, restituisce la luce a chi era immobilizzato da un cumulo di detriti mentali, senza la forza e il coraggio per rimuoverli.
Alessio Romano procede su questa parabola: un profilo facebook anonimo, dietro il quale si nasconde un serial killer, e l’indagine un po’ scalcinata di Nick, un ricercatore abruzzese che abbandona provvisoriamente le tracce degli orsi e si mette a fare il detective. Ma più che cercare indizi, direttamente legati agli omicidi, si muove attraverso vicende personali, intime, che il terremoto ha riportato a galla.
«Solo sigari quando è festa» è una frase pronunciata da Ivo, il padre di Nick, per dimostrare alle moglie di aver smesso di fumare. È un alibi mentale e, forse, il solo indizio da seguire: la spia che rivela l’autoinganno nel quale vivono i diversi personaggi. Ognuno dei quali racconta a sé o agli altri solo una parte della verità.
L’indagine di Nick consiste nel mettere insieme queste mezze verità per ricavarne un quadro d’insieme. La loro somma però – ed è questa, a mio avviso, la bellezza del romanzo – non gli permette di arrivare a una soluzione definitiva, completa, alla quale nulla può essere aggiunto.
C’è bisogno di intuito, coraggio e una buona dose d’ironia per guardare fino in fondo alle cose, per affrontare l’Alzheimer di Ivo, la relazione con Anna, le paure per una gravidanza inattesa, i sensi di colpa seppelliti sotto vari strati di indifferenza.
Nick lo fa mettendosi “a lato”, accettando di guardare le cose di sbieco. Gli capita, così, di fare scoperte eccezionali in modo inaspettato e alquanto rocambolesco.
Si accorge di essere innamorato baciando una ragazza appena conosciuta, ammette di voler bene a Ivo nel momento in cui decide di essere un padre diverso da lui, si consegna un serial killer un attimo dopo essere scampato alla morte.
Ovviamente svela anche il mistero, l’identità dell’assassino.
E però in una vicenda fatta di tracce, detriti e mezze verità, la fine dell’indagine non risolve alcunché. Con nostra somma soddisfazione.
Mauro Orletti
[Alessio Romano, Solo sigari quando è festa, Bompiani 2015]