A me Ardalyon Borisych Peredonov, il protagonosta de Il demone meschino, sta simpatico. Sicuramente lo sento più vicino dei personaggi leccati e con la coccarda di certi romanzi che vanno di moda e che io trascuro perché, per citare Ardalyon Borisych Peredonov «tutti i buoni libri li ho già letti». Forse gli manca una visione complessiva della realtà, però ha una visione precisa di sé: un uomo sano minacciato da una sarabanda di creature strambe e minacciose.
Fra l’altro quest’uomo sano – a differenza dei personaggi che, in certi romanzi russi del passato, sono necessariamente destinati alla redenzione – è un uomo senza scampo. Non ha un’idea chiara del peccato e il castigo non può riscattarlo. Sicché ha perso in partenza, non ha alcuna speranza: per questo gli perdono inclinazioni e paranoie.
Prendiamo l’umanità, tutta l’umanità: è serio parlare di onestà? Tutti fingono, si travestono: ispettori, magistrati, marescialli della nobiltà. E studenti. Gli studenti sono indisciplinati, ottusi, ignoranti come montoni. Se non stai attento usano il catrame per sporcarti casa, la sporcizia per rovinarti la macchina. Come dovrebbe reagire Peredonov? Con la giusta dose di malvagità: una malvagità senza gusto e un po’ meccanica. Prendiamo quel Saša Pylnikov, anche lui finge, si traveste, si imbelletta. Lascia che Ljudmila gli spruzzi il profumo. Andrebbe fustigato: è debole, ambiguo, ride senza motivo. Se Saša Pylnikov mi capita fra le mani, per dire, altro che profumi, lo stango.
Non sono matto. So benissimo che Saša Pylnikov, oggi, avrebbe più di cent’anni. Ma anche i vecchi, ne vogliamo parlare? Sono malvagi, la loro pelle è arida e le loro rughe sono piene di polvere e così ci mettono in guardia dal futuro.
E come potrebbe essere altrimenti, mi chiedo, considerato il mondo in cui viviamo? La natura ci si rivolta contro. E non in modo indiscriminato, contro l’umanità in generale per esempio. La natura sceglie le sue vittime con cura. Sceglie «gli atomi separati dal resto dell’umanità», come dice quel mascalzone di Bachtin, li prende di mira. E allora i cani sghignazzano alle sue spalle, i gatti diventano selvaggi e gli soffiano contro, i montoni belano per ridicolizzarli.
La minaccia è ovunque. Il demone meschino bracca il piccolo uomo, anche se si tratta di un consigliere di Stato. La morte è dietro l’angolo. E sicuramente anche Sologub ne è consapevole. Nella sua visione delle cose la vita è un «grasso donnone» che soffoca i figli. Come dargli torto? Sua moglie muore per colpa dei comunisti. Hanno perseguitato a tal punto lei e il marito da spingerla a buttarsi nella Neva. Il fiume si trasforma nell’Inafferrabile, quel mostro senza volto «che sempre turbina e vortica» intorno alla vittima, corre sotto le sedie e per gli angoli, striscia dappertutto.
Un giorno, mentre tornate a casa, potrebbe capitarvi di vedere una ragazza che sputa a terra e si lecca il palmo della mano. State attenti: è l’inafferrabile che si finge una ragazza, una ragazza che si finge innocua e invece getta una maledizione. «Via da me, via, via, via! Il malocchio a chi lo getta, si secchi la lingua al cattivo, crepi l’occhio nero. Via da me, via, via, via!»
Mauro Orletti
[Fëdor Sologub, Il demone meschino, Garzanti 1965]