Beata ignoranza

In una serata un po’ sghemba di carrelli del bollito e purea di patate, ci siamo ritrovati in un confortevole appartemento a due passi dalla stazione di Reggio Emilia a scambiarci interrogativi a tradimento su questo o quel film, questo o quell’autore, questo o quel libro. In materia sono piuttosto scarso, però mi fisso. Se sono sicuro di aver capito il film, l’autore o il libro allora inizio a tormentare il cervello per recuperare il nome. Se non recupero il nome ci penso tutta la notte. E la mattina successiva. Il pomeriggio anche. Per fortuna quella serata un po’ sghemba li abbiamo imbroccati quasi tutti, i nomi. Anche una serie difficilissima: regista… Losey, titolo… The go-between, sceneggiatore… Pinter. La trama: ragazzino di famiglia benestante (Leo) passa le vacanze a casa di altro ragazzino di famiglia ricca da far schifo. Qui si innamora di una donna (Marian) che gli chiede di fare da tramite per i messaggi che si scambia con il suo amante (Ted). Nessuno deve sapere e invece alla fine tutti sanno.

Qualche mese dopo sono finito in Irlanda, a Killerney. Lì c’è questo palazzo, Muckross House. Dentro c’è questa sala da pranzo, tavoli enormi, credenze buffet, argenterie e porcellane per la consumazione di cene e delitti. Riesco perfino a vederli, questi signori inglesi, ad officiare l’ennesima nevrosi collettiva.
Ecco, è stato come rivedere una scena del film The go-between, il pranzo dei ricconi, la preghiera, la festa di compleanno… questi signori con i cappellini di carta a sghimbescio, le facce stravolte per lo scandalo. Un mondo di rapporti ipocriti e consunti, di regole sociali che mostrano i nervi. Ora io, piantato nel bel mezzo di questo salone, con la spilletta da visitatore appuntata sulla camicia, mi fisso. Voglio assomigliare al personaggio di Leo, tirarmi fuori da questa dimensione e mostrare a tutti la mia innocenza. Ma niente. Il fatto è che la sala da pranzo è la chiesa in cui si celebra la liturgia dei rapporti familiari e l’adolescenza è lo scettico che, prendendo parte al rito, si compromette con l’ambiguità delle regole (le stanze dell’oppressione diceva Pinter). E non si tratta semplicemente delle regole dell’aristocrazia vittoriana. Infatti Marian (aristocrazia), il suo amante (servitù), lo stesso Leo (borghesia)… trasmettono tutti questo terribile senso di decadenza della società adulta. Insomma Pinter se la prende con una maturità che ha deciso che maturo è un sistema fatto di valori formali, cliché culturali, leggi morali, ecc…

Al termine di un serata un po’ storta di acquazzoni repentini e arrosti misti siamo tornati nel confortevole appartamento a due passi dalla stazione di Reggio Emilia. Ho raccontato di Muckross House e della sala da pranzo e poi anche della sensazione di essere nel film The go-between. Allora lì, il proprietario dell’appartamento ha detto che a lui era piaciuto soprattutto il fatto che la storia veniva vista attraverso gli occhi di un ragazzino che ha una sua moralità e che a suo modo è austero e sicuro di sé, senza avere nessuna esperienza dei fatti che lo fanno correre avanti e indietro. Tutti gli altri personaggi sanno ma non vogliono sapere, mentre lui non sa ma vuole sapere. Perché quando si scrive si può usare la strategia del non sapere oppure si può partire sapendo tutto dall’inizio. Per esempio nella scenggiatura di Pinter è proprio il fatto che il ragazzino “non sa” a dare spessore alla storia. Perché noi sappiamo già tutto, abbiamo capito già tutto fin dall’inizio. E’ solo lui a non sapere, e questa sua ignoranza dà sostanza alla storia.

Io mi fisso. E mi sono subito letto Festa di compleanno, che è un pezzo bellissimo, e lì davvero sembra che nessuno sappia o debba sapere. Trama: due visitatori piombano nella pensione in cui vive, isolato dal mondo, un pianista di nome Stanley e gli organizzano una festa di compleanno. Stanley protesta che non è il suo compleanno. I due se ne infischiano e poi, finita la festa, lo portano via.
Cosa sanno davvero i due visitatori? Sanno qual è il giorno del compleanno di Stanley? Oppure sanno per quale motivo continua a ripetere che non è il suo compleanno? Oppure che non importa affatto sapere quale sia il giorno del suo compleanno? Oppure qual è il vero scopo di quell’errore?
Certi personaggi di Pinter parlano parlano ma non si capiscono. Poi arrivano i silenzi. Le lunghe pause fra parantesi (pausa).
In The go-between Leo e Ted parlano del significato di “amoreggiare”, Marian aggredisce Leo e lo accusa di essere un ingrato e lui scoppia a piangere. Perché piange? Perché non capisce… intuisce soltanto che la ragazza è arrabbiata con lui. Le reticenze di Ted e le accuse di Marian non spiegano nulla, restano sospese a livello di comunicazione inadeguata. Le vere risposte arrivano dagli eventi.
Anche Stanley, anche lui può ripetere fino alla nausea che non è il suo compleanno, nessuno lo ascolterà. Perché la comunicazione è difettosa.
Nei dialoghi di Pinter, quasi sempre, c’è un personaggio che fa un’affermazione ed un altro personaggio che non capisce e chiede chi? cosa? dove? E allora a quell’altro gli tocca ripetere la stessa frase, anche due tre volte, anche in diversi punti del dialogo. Come se ad un certo punto ci fosse un guaio nella comunicazione… Il guaio della comunicazione è solo un espediente: se due ogni tanto non si capiscono e poi dopo si capiscono ma si comportano come se non si fossero capiti, magari uno inizia a chiedersi dove sia finita la “conoscenza onniscente” della storia.
Ted e Marian parlano con Leo ma niente, le risposte non arrivano. Arrivano gli eventi e le cose diventano più chiare. Quindi Leo, in qualche misura, è in balia degli eventi, alle volte ne è la condizione, e gli tocca correre, avanti e indietro. Mentre Stanley, per dire, anche lui è in balia degli eventi però resta passivo e alla fine quasi smette di protestare.
Forse Pinter vede nell’agire una sorta di colpa incosciente. E non perché l’agire sia in sé sbagliato, ma perché chi agisce sconta una sorta di peccato originale. Da dove venga questo peccato originale e chi l’ha commesso… è un altro paio di maniche. Il sospetto, è ovvio, cade su “colui che sa”. Cioè, in linea di principio, potrebbe essere l’adulto (la società adulta) che “sa” in quanto ha fatto esperienza, è maturato. Ed ha una sua moralità… solo che si tratta di una moralità tutta spiegata e quindi assai poco interessante.
Ne L’angelo sterminatore di Buñuel, per fare l’esempio di un altro film e di un altro regista, i personaggi non sanno cosa succede. E nemmeno lo spettatore… anche se guarda dall’esterno, non capisce cos’è che trattiene tutti nella stanza. Il fatto di non sapere abbrutisce e spinge a comportamenti diciamo così, non adeguati, riprovevoli. Ma forse è proprio questo che si vuol dimostrare: che basta non avere il controllo degli eventi, basta non sapere, per fare concessioni alla nostra parte più istintiva, la più crudele e inadeguata (i personaggi appartengono tutti ad una ricca borghesia benpensante). Perciò anche in questo caso è il fatto di non sapere a dar spessore alla storia.
E l’autore? Lui sa o non sa? Forse non importa che sappia, che conosca il motivo per cui nessuno riesce a mettere piede fuori dalla stanza o quale sia sia la forza che li tiene prigionieri e cosa alla fine li rende liberi. Importa solo che sappia come si comporteranno. Perciò li chiude nella stanza e aspetta. E così il meccanismo va avanti da solo, autonomo e imprevedibile.
Poi c’è lo spettatore. Ed anche questo è un bel problema. In The go-between lo spettatore sa già tutto. Però ad esempio in Festa di compleanno non sa nulla e continua a non capire nulla ed ogni ragionamento sembra come bloccato. E perciò credo sia portato ad assolvere Stanley, a solidarizzare con lui, con la sua quasi paralisi. Invece con Leo è un’altra storia. Lui si muove, agisce, ed in più lo spettatore sa perfettamente quali eventi lo stanno guidando, di quali azioni si sta rendendo complice. E c’è anche tutta una serie di indizi. Ma insomma, non li vede quei tavoli, quelle credenze, le argenterie, le porcellane… voglio dire, è pieno zeppo d’indizi!!!
Quella volta lì, in Irlanda, sono uscito da Muckross e mi sono infilato in un pub e lì, dentro al pub, con la mia guinness, ho guardato alla televisione due ore e un quarto di partita a freccette. Io mi fisso.

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