Pochi capelli e tanta fantasia

Ecco perché la repubblica è agli estremi
[Marco Porcio Catone Uticense, in De coniuratione Catilinae, Sallustio]

L’altro giorno ero a spasso per Sevilla con il mio amico Walter, subito dopo essere usciti dal cinema, e abbiamo iniziato a discutere di conoscenza. Di come, per esempio, soltanto con la condizione di apolide internazionale (che appartiene ad entrambi) si possano capire determinate cose: lui sosteneva la necessità di una mobilità fisica, di una conoscenza raccolta con l’esperienza diretta, appunto viaggiando per il mondo; io rispondevo che la mobilità internazionale piuttosto è una dimostrazione di propensione all’apprendimento, ma che certe cose si possono poi capire anche stando seduti davanti al caminetto di casa… o davanti al forno microonde, a seconda di che casa si ha. Lui mi parlava dei viaggi degli artisti, per esempio di Joyce. Io rispondevo con la famosa intervista in cui Mauro Pagani sosteneva che Fabrizio De Andrè fosse un viaggiatore pigro ma non per questo poco curioso. Allora lui mi ha tirato fuori Colombo come avventuriero e io gli ho risposto che la ciurma di Colombo non era che un branco di provinciali raccattati qui nel borgo di Triana, proprio dall’altra parte del fiume Guadalquivir. Allora lui mi ha parlato dei viaggi di Ulisse e io, ovviamente, ho ribattuto con Dante: l’ultimo viaggio di Ulisse, quello che si inabissa alla vista della montagna del Purgatorio, non è che la metafora di una vita alla ricerca di “virtute e canoscenza”. E lui m’ha risposto: perché, l’Ulisse di Omero no? Dieci anni di istinto brutale di Achille non avevano portato alla conquista di Troia, era servito il cervello curioso di Ulisse.
Allora ci siamo venuti incontro, alla ricerca di quel che volevamo dire (ci perdiamo spesso entrambi dietro ai nostri pensieri). A questo punto, lui mi ha ricordato come mi avesse dovuto spiegare quei fumetti con le papere sedute e i fori di proiettili nel muro: l’espressione idiomatica “sitting duck” significa, in anglo-americano, un bersaglio facilmente esposto alla mira di un cecchino… però, per chi non lo sa, la traduzione “papera seduta” basta e avanza ad avere un significato. Chi non ha la fortuna di almeno un amico per lingua, qualcosa si perde! Io, molto più prosaicamente, gli ho fatto notare che soltanto grazie alla mia trasmigrazione dall’Urbe all’Andalucia ho potuto scoprire che: chi va a Roma, perde la poltrona; ma “quien se va a Sevilla pierde su silla” (chi se ne va a Siviglia, perde la propria sedia). Anche se, più in generale, Sevilla può diventare una semplice “villa” (città). Insomma, io che faccio la spola fra le due città, poltrona e sedia le perdo entrambe?
Fra il divertimento per i giochi di parole – o per la gran quantità di cerveza, non so – ci siamo accordati nel considerare la nostra vita come un costante spingersi oltre le colonne d’Ercole: che umiltà! Solo che, giunti nella gran piazza prima di casa mia, l’Alameda de Hercules, le due colonne le abbiamo viste davvero. Non ci vedevamo doppio. Però… Ercole non le ha entrambe… Ercole sta solo su di una, su quella di sinistra. Quella sul lato opposto a quello di casa mia. Sopra alla colonna del mio lato, ci sta Giulio Cesare. Il divo Giulio, e non quello del film che avevamo visto… Ercole sta sulla colonna perché, nella visione romantica e mitologica, avrebbe fondato la città. Sta scritto su una porta cittadina: “Ercole mi edificò”. E Giulio Cesare? “Cesare mi cinse di mura”.
Personaggio molto citato da storiografia antica e moderna, Giulio Cesare è soprattutto quello delle idi di Marzo: morto nel 44 a.C. Tuttalpiù sentimentalmente collegato a Cleopatra. Oppure ai fumetti di Asterix. In realtà, è stato un soggetto politico tremendamente moderno, per come conosciamo noi la politica oggi: ambizioso, capriccioso, anche pauroso a tratti. Soprattutto: demagogo! Però la storiografia da quattro soldi ricorda solo la solenne tragicità delle pugnalate finali, e con la storiografia così lo ricorda l’umanità tutta o quasi. Che magari, dico per dire, nemmeno sa quanti anni avesse alle idi di Marzo. Un po’ come oggi non si riesce a dire l’età di un politico o di un attore famoso, vedendolo in tv, perché le immagini sono tutte falsificate dall’apparenza che del personaggio si vuole dare. Ecco, perché non cominciare a fare un po’ di chiarezza?
Giulio Cesare vive 66 o 67 anni; non è infatti certo il suo anno di nascita: 100 o 101 a.C. Pensando alle immagini del suddetto Asterix, ce lo immaginiamo scarno ed emaciato. Svetonio (Vite dei Cesari) dice però che ha “il viso un po’ troppo pieno” e questo già lo renderebbe un po’ meno austero agli occhi dei fan attuali. Soprattutto se aggiungiamo che ha pochi capelli e il famoso riporto in avanti, di cui si cruccia parecchio (mentre è ben lieto di farsi depilare). Pochi capelli, sì, ma anche tanta fantasia nel raggiungere i propri obiettivi a ogni costo: prima di tutto, mescolare vita pubblica e vita privata! A 17 anni ottiene la carica di flamine diale ed entra in Senato, dopo aver ripudiato la ricca fidanzata Cossuzia per sposare Cornelia, figlia del già quattro volte console Cinna. Da Cornelia ha una figlia, Giulia, che 25 anni dopo circa sposerà Pompeo (in occasione del primo triumvirato), prima che questi diventi suo acerrimo nemico. Cornelia però muore giovane e Cesare coglie l’occasione per farne una gran celebrazione funebre – di solito riservata alle donne anziane – con il principale scopo di esaltarne l’appartenenza alla famiglia di Mario e in funzione anti-Silla. Silla non lo vede ovviamente di buon occhio e lui quindi se ne sta buono buono, perlopiù lontano da Roma. Tuttalpiù, se gli capita di essere catturato da luogotenenti sillani, non esita a tirar fuori i sesterzi per fuggire. Nel frattempo anche Silla muore e Cesare, dopo qualche anno, ne sposa in terze nozze la nipote Pompea: niente male, per essere un fomentatore della parte mariana!
Ma più che un uomo di parte, Cesare è un demagogo aperto a tutti, proprio come un politico moderno. Ancora Svetonio spende pagine a ricordare tutti gli intrighi tentati e spesso abortiti nonostante il suo grande impegno, soprattutto nel mandare avanti delle teste di legno sconosciute e spregiudicate. Molto, molto moderno! Plutarco (Vite parallele) lo ricorda pieno di debiti, contratti per ingraziarsi il popolo, già prima di avere una carica pubblica. Ma è solo un investimento: “eletto curatore della via Appia, ci spese moltissimo del suo denaro, e, nominato edile, presentò trecentoventi coppie di gladiatori e, con le altre fastose spese relative a teatri, processioni, pranzi, ebbe oscurato le magnificenze dei magistrati precedenti, suscitò nel popolo un tale stato d’animo che tutti cercavano di compensarlo con nuove cariche e nuovi onori”. Si potrebbe dire che citare solo Svetonio o Plutarco – due grandi detrattori di Cesare – non è equo. Però anche Sallustio, da Cesare protetto, ci ricorda che “per la sua straordinaria generosità nella vita privata e le spese ingenti in quella pubblica, Cesare aveva contratto grossi debiti”.
L’edile curule è il secondo gradino del cursus honorum e lo ottiene nel 65 a.C. dopo soli quattro anni dalla questura. A tempo di record, l’anno successivo diventa pontefice massimo (terzo gradino); quella mattina, la storiografia e l’orgoglio romano ricordano la frase detta alla madre in lacrime: “oggi vedrai tuo figlio pontefice massimo o esule”. Prende la carica ma, ricorda ancora la storiografia, più che altro per la paura dei senatori riguardo la sua capacità di smuovere il popolo a suo favore. Cesare però non si tiene buono solo il popolo. La terza moglie Pompea gli mette le corna con Publio Clodio; però quando la cosa viene scoperta, Cesare ripudia solamente la moglie ma dice di non sapere nulla di Clodio. A chi gli chiede il perché del ripudio, allora, risponde che serve a scansare ogni sospetto sulla moglie (ormai ex moglie)… Ancora Plutarco: c’è chi dice che “lo facesse per compiacere il popolo che voleva salvo Clodio”. Cesare ama probabilmente compiacere in senso ampio: come quando, anni prima mentre prestava il servizio militare in Asia, “si trattenne presso Nicomede, non senza far nascere il sospetto di essersi prostituito a quel re”.
Dopo il pontificato massimo, tocca al gradino successivo: la pretura. Di quel periodo è il suo discorso in favore di Catilina, per evitargli la pena capitale: ancora grande fantasia oratoria ma, per sua sfortuna, una tale Catone fa un discorso più convincente. Sconfitta la sua visione ambigua di punire Catilina senza metterlo a morte, viene minacciato da un gruppo di cavalieri romani. Cosa fa, allora? “Non solo si allontanò, ma si astenne persino dal comparire nella Curia per il resto dell’anno” (Svetonio). Ne ha abbastanza? No, perché sostiene il ribelle Cecilio Metello e quando entrambi vengono deposti dalle cariche pubbliche, decide di tenere il posto in ogni caso. Nemmeno fosse la vigilanza Rai! Solo quando gli fanno sapere che diversi uomini sono pronti a usare le armi contro di lui, allora si dimette e si rifugia di nascosto in casa: grand’uomo!
Dopo la pretura, ritorna da propretore in Spagna. Ha ormai quaranta anni ma qui comincia la sua gran fortuna. La campagna di Spagna è un successo, visto che sottomette “popoli che prima non erano mai stati soggetti ai Romani” (Plutarco). Questa campagna è soprattutto il modo per sanare i propri crediti passati e gettare le basi per l’appoggio militare che mantiene fino alla fine della propria vita. Ancora Plutarco: “quando si allontanò dalla provincia era diventato ricco, aveva arricchito i soldati con le spedizioni ed era stato da loro salutato con il titolo di Imperator”. Ma Cesare è un’ipocrita. Pur guadagnando successi lontano da Roma, è lì che vuole tornare in pompa magna. Con enorme fantasia, torna dalla Spagna con l’idea di riconciliare Pompeo e Crasso e formare il primo triumvirato: il CCP, manco fosse il CAF, questo patto era “inteso a impedire che nello stato qualcosa si facesse che potesse essere sgradito a uno di loro tre”. Alla faccia della Res Publica… Come già detto, per rinsaldare l’alleanza dà in sposa a Pompeo sua figlia Giulia. Ma questa era già promessa a Servilio Cepione! Vabbé, a lui verrà data la figlia di Pompeo! E Cesare stesso? Lui sposa Calpurnia, figlia di Pisone. Che, in cambio, viene designato come console per l’anno successivo. Pari opportunità, diremmo oggi. Ci rimane male solo Catone per il quale “non era tollerabile che lo stato fosse prostituito a matrimoni, e che valendosi di donnette si dividessero tra loro le province, le cariche militari, le cariche pubbliche”. Pari opportunità, Catone, pari opportunità si chiamerebbero oggi! Ma Catone ama scherzare con il fuoco…
Nel periodo del CCP, giunto finalmente alla carica di console, ne combina di tutti i colori: governa praticamente da solo, alla faccia del collega Bibulo; assegna senza sorteggio, quindi a sua discrezione, un terreno della Campania, inaugurando una consuetudine ancora oggi di moda; elargisce favori a tutti ma fa desistere col terrore gli oppositori; assolda un calunniatore per creare caos in senato ma poi, quasi scoperto, lo fa avvelenare; inizia la campagna di Gallia e fa guerra a chiunque e in ogni occasione, anche le più ingiuste e pericolose: inventa cioè la guerra preventiva con due millenni di anticipo; per “ingraziarsi i re e le province del mondo intero” regala schiavi e costruisce edifici coi soldi dello stato ma… “senza l’autorizzazione del senato e del popolo”… alla faccia dell’SPQR!
A questo punto Cesare è andato troppo oltre, in ambizione: pretende di contare a Roma ma stando, da proconsole, in Gallia; mentre Crasso muore e Pompeo, da solo in Urbe, fa il buono e il cattivo tempo. Decide allora di non congedare l’esercito vittorioso in Gallia ma portarselo dietro in Italia, scendendo dalle Alpi. La guerra civile imminente potrebbe avere molte ragioni; la più affascinante è nelle sue parole: “se non fossi ricorso all’aiuto dei miei soldati, mi sarei visto condannare”. Che modernità! Visti tutti gli impicci fatti in più di cinquanta anni, è una paura giustificata! Insomma Giulio Cesare passa il Rubicone. Forse. Forse in realtà passa un altro fiume di Romagna: il Pisciatello. Nei libri di storia abbiamo sempre e solo sentito parlare del primo: forse che la grandiosità dell’uomo sarebbe stata sminuita dall’accostamento al Pisciatello? Inizia comunque la guerra civile. Stop. Cesare vince. Stop. Catone Uticense si suicida. Stop. Cesare diventa dittatore. Stop. Riparte per nuove battaglie e nuove vittorie in Africa e, per la terza volta nella sua vita, in Spagna. Qui, a 55-56 anni, sconfigge definitivamente tutti i pompeiani rimasti. E’ il 45 a.C. e il luogo è Munda, che oggi si chiama Osuna e sta abbastanza vicino a Sevilla. E come festeggia? Dando il rango di colonia romana a Sevilla stessa (che originariamente si chiamava Ispal e romanamente Hìspalis): nonostante i 2000 chilometri di distanza, tutti cittadini romani!
Proprio questo è il lato emblematico ed attuale di Cesare: di volta in volta, trova il modo per ingraziarsi il favore più ampio possibile. Insomma nascere aristocratico e sostenere i populares. Quasi come dirsi “presidente operaio”. Elargire favori e soldi, ma senza sottrarli apertamente in Roma: sennò il colonialismo che è stato inventato a fare? Creare distrazioni, giochi, feste, grandi e lunghe orazioni per incantare la massa. La modernità di Cesare è straordinaria. Tanto da abbagliare tutti i contemporanei, o quasi. E molti dei suoi oppositori lo sono solo perché fatti della stessa pasta: Silla, Cicerone, Pompeo. Anche Catone. Tutti sempre sul filo dell’ambiguità fra ottimati e popolari, che sono comunque classi libere e ammesse al potere. Si dovrebbe chiedere piuttosto un giudizio al gladiatore Spartaco, ma capita che questi muoia prima ancora che Cesare sia andato per la prima volta in Spagna. 71 a.C. Peccato.
E oggi, invece, a chi si dovrebbe chiedere un giudizio su Cesare? Che se si parla di gladiatori, viene fuori un ritratto misto di eroismo e fantasia, senza nessun collegamento con la brutalità che in quella Roma deriva proprio dalla strutturazione della società. Oggi, quasi quasi, sarebbero tutti ben lieti di fare i gladiatori hollywoodiani. E di lodare Cesare, che fa sempre bella figura. Perché la storia della repubblica romana di duemila anni e più fa è completamente asservita a una visione strumentale: eravamo forti, una volta! Sì, ma chi? Noi? Noi chi? Noi figli di Cesare? E con la forza, funzionava bene la società! In realtà, la demagogia e l’opportunismo di quei tempi hanno portato solo alla distruzione di un equilibrio che stava scricchiolando dall’interno proprio attraverso un aumento di demagogia e opportunismo. Questo è stato Cesare: l’istituzionalizzazione del malcostume romano, trasformato in gloria. Apprezzato dalla popolazione di allora, di fatto apprezzato dalla popolazione di tante epoche fino a noi. Ma parlano i fatti: dopo di lui, soltanto la fine della repubblica.

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